“Domenica c’è festa da quelli!”
Quelli erano il paese dirimpettaio, con il quale, nonostante si vivesse nel 1980, c’era ancora una strisciante guerra che aveva contraddistinto i comuni per secoli.
Una guerra a colpi di pietre tirate tra un confine disegnato da un bosco e proseguita e fomentata nel dopoguerra quando si costituirono le squadre di calcio. Ma fino agli anni ’60 era difficile andare da “quelli”, anche per fare un servizio qualunque o incrociare un matrimonio.
Domenica c’era da andare da quelli.
“Dobbiamo andare perché non dobbiamo far vedere che abbiamo paura! Noi Balossi non ci fermiamo davanti a niente e nessuno! I Gualotti ci aspettano. Ma noi, ci mettiamo ad una parte vicina al palco del cantante e stiamo li’ tutti uniti. Voglio vedere se ci attaccano!”
Il giorno della festa del santo patrono arrivò. Da un paese all’altro fu tutto un fluire di auto. I Balossi arrivarono a bordo di una Ford Escort ed una 127. Auto vecchie ma efficienti. E parcheggiate nella zona del campo sportivo. Poi s’incamminarono in direzione del centro, in due gruppi, per sistemarsi in un posto di ampia visione,
“Ora guardatevi bene intorno! Se qualcuno nota un movimento sospetto o qualche faccia che non piace …. avverte gli altri!”
“Ma c’è tanta gente!” rispose una delle tre donne della compagnia.
“Si è vero! E ci sono tanti nostri paesani!”
“Possibile che sono tutti così coraggiosi?”
“Eppure ci stanno!”
Dopo aver suonato la banda musicale, venne il turno del cantante big della serata. Si esibì fino alla mezzanotte, poi tutti andarono a guardare i fuochi d’artificio.
“Attenti a rimanere uniti….ho visto due facce che non mi quadrano!”
“Anch’io le ho viste! Ma fino ad ora è andato tutto bene!”
“Si tutto bene….ma manca ancora un’ora e poi si parte. Un’ora manca.”
“A vedere ci hanno visto tutti…la nostra figura l’abbiamo fatta! Noi siamo venuti fin qua! A noi non ci spaventa nessuno. Il messaggio lo abbiamo dato.”
“Si lo abbiamo dato!”
Ci fu un bellissimo spettacolo pirotecnico. Poi presero tutti la via di casa. I Balossi raggiunsero le loro auto e riposero nel bagagliaio: due coltelli, un cacciavite, due punteruoli ben affilati e ben nascosti sotto il cappotto. Il tutto fu sovrapposto sopra due asce che stazionavano in auto, chiuse in un plaid.”
“Abbiamo sistemato tutto. Ora ci rimane il viaggio. Possono pure farci un’imboscata. Le asce le mettiamo avanti, sotto i tappetini.”
I Balossi scendevano con le loro auto per i tornanti. Ogni tanto qualche paesano li superava. Erano auto dove sovente si sentiva uscire musica emessa da sterei molto potenti.
In giro, nella processione di auto che tornava al paese, vi era un’aria di allegria. Vi era chi risentiva ancora di qualche boccale di birra, chi ripeteva le battute del cabarettista salito sul palco, chi rideva raccontando qualche accadimento della serata.
Ma nell’auto dei Balossi, il tempo si era fermato. Tutti erano tesi, tutti guardinghi, tutti attenti. Proprio come lo erano stati i loro padri, quando tornavano da quel luogo e quella festa. Proprio come erano stati i loro nonni, quando tornavano in sella al mulo, da quel luogo e da quella festa. Proprio come i loro bisnonni.
Il tempo si era fermato. I Bolossi erano in guerra con un mondo che non c’era più. Dissolto dal consumismo, dalla tecnologia, dal benessere economico.
“L’ascia….prendi in mano l’ascia….in questa curva ci può essere qualche problema!”
“A noi non ci frega nessuno! Stasera tutti hanno capito chi siamo!”
“Si… tutti!”
In quella curva li sorpassò un auto. All’interno c’era quattro giovani, due avevano in mano dei ghiaccioli al limone. Era scuro. I fari potevano ben poco.
“Occhio ho visto due coltelli!”