Viveva da solo in una casa aggrappata ad una collinetta sovrastante il paese. Un luogo impervio, brullo, inutile. Ma a Tuccio piaceva vivere per i fatti suoi, da eremita.
Cercava di essere assolutamente indipendente. E quindi: tagliava la legna per il suo camino in un boschetto adiacente, beveva l’acqua di una sorgente, coltivava verdure e frutta, aveva le galline ed un cane (che gli faceva una guardia mediocre).
Dicevano che si fosse ritirato lì su per il dolore della morte prematura della moglie. Altri credevano che la moglie fosse morta perché voleva portarla lassù.
Un giorno, tre insegnanti, andarono su quel colle per raccogliere funghi. Una di esse era particolarmente esperta quanto appassionata, ed aveva avuto notizia che un fungo inusuale, era stato raccolto in quei luoghi.
Confabulavano delle loro esperienze culinarie, non disdegnando qualche pettegolezzo. Ebbero modo anche di scaldarsi gli animi per delle eterogenee visioni politiche. Poi, di colpo, si trovarono al cospetto della sagoma di Tuccio.
E che sagoma!
Un metro e novantacinque centimetri di maestosità muscolare, dovuta alle fatiche di quella vita difficile. Solo le rughe del viso tracciavano sofferenza, per il resto v’era una tonicità di chi usa il fisico per vivere. Cinquantacinque anni enigmatici. Infatti, potevano scambiarsi per dieci di più o dieci di meno.
“Cosa volete qui su? Non c’è nulla in questo posto!”
“Siamo in cerca di funghi!” rispose Maria, la meno suggestionabile delle tre.
“Qui non vi sono funghi!”
La donne capirono da quel tono deciso, quasi minaccioso, che l’uomo era irritato e preferirono desistere. Scesero dalla collina, presero l’auto e tornarono in paese.
Finita qui? No.
Maria, l’appassionata, non voleva desistere. Quel luogo era demanio pubblico, nessuno poteva vietargli l’accesso. Nemmeno quell’uomo inquietante per tutti, quanto misterioso.
Allora una mattina ritornò da sola, con mille precauzioni.
Iniziò a esplorare la parte più “coperta” della collinetta, quella del boschetto. E lì trovò elementi che facevano pensare ad un luogo prospero per il fungo che cercava. Poi continuando si addentrò in un sentiero molto umido, perché ben riparato dal sole. Aveva uno zaino a tracolla con gli attrezzi del mestiere e costantemente frugava con un bastone, nei cespugli più rigogliosi.
Maria era una donna con una soglia del pericolo bassa. Figlia di un ufficiale dell’Arma, aveva condiviso per trent’anni i pericoli del padre, per via della carriera esperita tra le zone aspromontane e l’interland napoletano. Per tutti lei era sempre stata: la figlia dello sbirro!
Riuscì quasi a scollinare e muovendosi a passi sempre più felpati, si trovò nei pressi della baita di Tuccio, senza che questi se ne accorgesse.
L’uomo era intento a legare una fascina di legna, ma l’azione non gli veniva agevole. Il cane aveva fiutato qualcosa, ma non sapeva bene cosa. Era quindi un po’ nervoso.
Maria ebbe modo di osservare quell’uomo particolare e stette acquattata in un luogo riparato. E con molta sorpresa scoprì che non era solo. Con lui c’era una donna, minuta ed agile, giovane e con un viso che demarcava un’origine del Nord dell’Europa. Confabulavano a bassa voce ed intensamente. Ma la sorpresa maggiore avvenne quando la donna, uscita dalla baita, recava con se’ un bambino. Era chiuso in una tutina rossa e mostrava non più di due anni.
Maria era sbalordita. Chi l’avrebbe mai detto?
Voleva tornare indietro e si muoveva con lentezza, ma sentì immobilizzarsi un braccio. Era un cane, non quello di Tuccio, ma un pastore tedesco ben addestrato, che non affondava i denti ma faceva in modo di tenerla ferma.
La donna era impaurita, ma un uomo le si parò di fronte ed il cane mollò la presa. Era uno sconosciuto, le fece cenno di stare calma e scomparve.
Era davvero affollata la collina abbandonata
Maria prese a scendere velocemente da quel posto, ma la sua fretta produsse segnali che Tuccio intercettò e tramite uno dei sentieri riusci a bloccare il suo cammino.
“Ancora qui?”
“Sono venuta per i funghi, non per voi. Questo è un posto pubblico! Poco fa c’era un altro uomo con un cane!”
“Un uomo con un cane?”
“Certo, un pastore tedesco ha immobilizzato il mio braccio.”
“E’ roba di addestramento.”
Tuccio era meravigliato. Pensò agli sbirri che lo spiavano.
“E da che parte è andato?”
“Verso Nord”
“Ma l’uomo mi spiava?”
“Ha visto voi due ed il bambino!”
“Il bambino…..già il bambino. Me lo vogliono togliere! Dicono che non sono capace di badargli!”
Maria colse la sua disperazione. Poi d’impeto disse: “Fate una cosa…portatelo a casa mia. Poi partite e andate via di qui. Portatelo in un luogo urbano. Avete un posto dove andare?”
“Da mio fratello, a Brescia. Ma non ho i soldi!”
“Li posso dare io!”
Tuccio si aggrappò a quell’ultima speranza. Così andò a parlare con un amico che trasportava animali e gli chiese se poteva accompagnarlo alla stazione di Matera. Questi acconsentì tra mille tentennamenti. Poi Tuccio andò a casa di Maria. Ormai era notte fonda.
“Non serve l’alloggio. Parto tra qualche ora. Mi servono solo i soldi. Avete detto che potete aiutarmi….”
“Eccoli! Ma ricordate! Andate da vostro fratello, trovate un lavoro e pensate solo a far crescere bene il bambino!” L’uomo annuì, prese il denaro e prima di andare disse: ” Mi avete aiutato ma non so nemmeno il vostro nome.”
“Sono la figlia dello sbirro!”
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