Una vicenda che potrebbe essere successa, ma anche inventata, comunque collima a certo tipo di Sud.
Siamo alla fine degli anni ’70, a ridosso del terremoto dell’Irpinia, che tramite la ricostruzione fece fluire miliardi di lire, sovente spesi in maniera sbilenca.
Soldi che cambiarono quelle terre. Perché oltre alla ricostruzione si ebbe, di rimando, un’indotta scossa economica.
In un paese non lontano da quei posti – sul far della sera – di domenica – in ottobre – in una piazza tormentata da un leggero vento da Nord, le Forze dell’Ordine provvidero a controllare i documenti del conducente di un’auto.
Dopo un po’ si formò un inevitabile capannello, per un azione che diventò un involontario momento di spettacolo, in un luogo dove la noia era stagnate.
I militi riscontrarono delle manchevolezze e chiedevano conto all’uomo, che d’un tratto scese dall’auto indispettito e ingaggiò un alterco.
L’atteggiamento solito verso la forza pubblica, da quelle parti, era di acquiescenza. Una paura strisciante delle possibili conseguenze della Legge, vissuta in maniera approssimativa, che portava ad un atteggiamento quasi metafisico.
Ma quell’uomo stava violando la consuetudo.
Controbatteva ad ogni contestazione, non tirandosi mai indietro. E gli spettatori aumentavano, così come il vento e le foglie che improvvisavano mulinelli.
Ma quando il dibattere stava superando i limiti della tollerabilità, tra lo stupore degli astanti (dove emergeva un po’ di tifo per il loro compaesano), ecco sbucare dal nugolo un uomo corpulento, che si avventò verbalmente contro il conducente dell’auto.
“Ohe! Ma che ti sei messo in testa? Ma chi ti credi di essere?”
“Ma tu che vuoi? Fatti i fatti tuoi!!”
“Ma chi credi di essere?… Io qua… Io là!… Toni’… vuoi sapere la verità? Stai facendo un maffio! Stai facendo un maffio! La devi finire se no’ ti do’ un cazzotto!”
I militi assistevano sbalorditi non sapendo esattamente cosa fare.
Il conducente ribattè prontamente: “Vincè!.. Io mi sono fatto una proprietà fuori del paese! Quattro case e cinque ettari per i miei figli! Io posso dire quello che mi pare! Me lo posso permettere!”
“Tu? Tu?… Io mi sono fatto sei appartamenti!!!! Sei! … Sono io che posso fare il maffio! Tu ti devi stare zitto!”
L’uomo si avventò contro il conducente, cercando di colpirlo. Ma i militi intervennero, lo bloccarono energicamente e lo spinsero nella gazzella. Tutto con una certa veemenza, considerata la riluttanza.
Rimasero sulla piazza: il conducente perplesso ed il nugolo, con la domenica da terminare, il vento cui ripararsi, la noia da stemperare, la voglia di raccontare.
Il professor Conci di Vallelunga, testimone con il suo amico avvocato, riprese la camminata lenta che li avrebbe portati a casa.
“Visto professore? La sfida alle Forze dell’Ordine del conducente, era parsa all’altro, un atto meritevole e non disdicevole. Ma al contempo intollerabile nel suo merito”.
“E sì! L’uomo si è sentito frustrato da quella situazione. Ha trovato il suo censo più legittimato ad alzare la voce, alla sfida”.
“Infatti, la sua reazione sembrava il riparo alla lesione della sua presunta supremazia economica. Una reazione a catena. E poi ‘maffio’ in luogo di mafia. Nemmeno la dizion”.
“Pensi globalmente alla concezione distorta e arzigogolata che hanno dello Stato”.
“Una patologia esiziale. Ma quando guarirà il Sud?”
“Bella domanda… Diciamo che con queste distonie, ovviamente frutto della sua storia, credo tra un secolo”.
“Forse due… Forse due”.
E si salutarono sollevando vicendevolmente il cappello.