Il Museo Antropologico Visivo Irpino di Lacedonia arriva in terra veneta. Sarà presente alla dodicesima edizione dell’ETNOFILMFest, festival dedicato al cinema documentario etnografico e diretto dal regista e antropologo Fabio Gemo.
L’edizione è dedicata a Luigi Di Gianni, grande documentarista scomparso a maggio che ha rappresentato nei lavori il sud e collaborato con l’antropologo De Martino.
Il concorso
Il MAVI di Lacedonia sarà all’ETNOFILMFest per raccontare la storia meravigliosa di un altro antropologo, lo statunitense Frank Cancian, protagonista del “5×7 – il paese in una scatola”, firmato dal regista romano Michele Citoni, col montaggio di Roberto Mencherini.
Il mediometraggio, in concorso con altri 9 titoli, verrà proiettato il 31 maggio alle 22:15 nel complesso monumentale San Paolo di Monselice. Prodotto in collaborazione con il MAVI Museo Antropologico Visivo Irpino e LaPilart, la pellicola racconta dell’esperienza vissuta da Cancian nel 1957 a Lacedonia, un piccolo paese in provincia di Avellino, e la realizzazione delle 1801 foto realizzate proprio dall’antropologo per testimoniare la vita quotidiana di una comunità del Sud Italia negli anni del secondo Dopoguerra.
Le immagini, donate dallo stesso Cancian alla Pro Loco, hanno consentito la nascita del piccolo museo, che espone gli ingrandimenti e ne custodisce i negativi. Partendo dal loro valore sociale, nel 2017 è stato avviato un programma di iniziative culturali insieme all’associazione LaPilart.
Il regista
“Tutto nasce proprio da quest’esperienza giovanile di Cancian del 1957”, spiega il regista. “Ancora ventiduenne e appena laureato, Frank prima di intraprendere gli studi specialistici in Antropologia era un fotografo autodidatta e avrebbe voluto proseguire la carriera di fotografo documentario. Aveva già una grande sensibilità etnografica e, arrivato a Lacedonia quasi per caso, scattò nel corso di sette mesi queste bellissime fotografie raccontando molti aspetti della vita quotidiana di una comunità rurale nel pieno di un’epocale passaggio di trasformazione. Un patrimonio visivo straordinario che però è rimasto per decenni in una scatola. L’autore aveva poi deciso di percorrere un’altra strada professionale come antropologo economico, che lo portò a svolgere un trentennale lavoro sul campo in Messico”.
Il legame con il territorio irpino
Quella di Michele Citoni è una firma assolutamente non banale nel campo della cinematografia. Citoni è infatti un regista con molti anni di esperienza nel documentario cosiddetto “di creazione”. Ha partecipato, con i suoi film, a numerosi festival internazionali. Ha stretto un forte legame sentimentale con i territori irpini, dove ha collaborato con i festival “Cairano 7x” e “CarbonAria 2012”, con il MAVI e l’associazione LaPilart di Lacedonia, con il gruppo di progettazione +tstudio/rihabitat di Aquilonia, partecipando attivamente a progetti e vertenze territoriali e portando avanti una più che decennale attività di placetelling.
Tra questi: “Terre in moto” (2006), un viaggio nei paesi dell’Alto e Medio Sele più segnati dal sisma dell’80 e dal lungo post-sisma. E poi “Avellino-Rocchetta, sospensione di viaggio” (2014), che intreccia il singolare racconto di una storia di emigrazione con le immagini della battaglia delle associazioni contro la dismissione della ferrovia storica voluta da De Sanctis. E “Traduzioni” (2016), una testimonianza del possibile dialogo fra la tradizione artigianale e il design e l’arte contemporanea.
L’importanza del viaggio
“Da anni attraverso questi luoghi cercando forse qualcosa di me stesso”, riflette il regista romano, che così spiega la sua curiosità nei confronti di Cancian. “Venuto a conoscenza delle foto di Frank, scattate sessant’anni fa in questo territorio, ho voluto incontrarlo e filmarlo. Volevo trovare in questo fotografo/antropologo una risonanza che mi aiutasse a rispondere alla classica domanda dello scrittore-viaggiatore Bruce Chatwin: ‘Che ci faccio qui?’”.
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