Tra pochi giorni si vota. Si avvicina la scadenza di una campagna elettorale di insulti e colpi bassi. Se per vent’anni Silvio Berlusconi era il maestro della comunicazione elettorale, ora due competitor più bravi di lui, si sono fatti avanti: rubandogli completamente la scena.
Non è questione di anagrafe. Grillo è di età pensionabile, ma sul ring del voto è parso il più aggressivo.
Il vantaggio di Renzi e Grillo, è quello di non aver mai governato. Le loro promesse, hanno il valore della messa alla prova.
Ma quale è la prova che vuole il Sud?
Il lavoro è il tema centrale, ma anche i servizi, e così: sanità, istruzione, sicurezza, ricerca, innovazione. Quello solitamente che si chiede ad uno stato moderno.
Attualmente i fondi a disposizione sono esigui, la congiuntura economica internazionale è pessima. Allora, cosa si può chiedere ai governanti? Credo davvero poco.
Capovolgiamo dunque la domanda: cosa possiamo chiedere a noi stessi?
Solo il cambiamento porta alle soluzioni dei problemi.
Ma il Sud, in cosa deve cambiare?
Si può lavorare sulla mentalità collettiva. Qualche pecca ce l’abbiamo. Per esempio: la diffidenza che ci portiamo dentro, la vertigine del cambiamento, la ritrosia verso lo straniero, un paternalismo di fondo, un mammismo, la ricerca di assistenzialismo, l’attitudine a cercare scappatoie, la dimostrazione di essere più furbi del prossimo.
Si può andare avanti per tanti altri tic della ragione. Ma ci fermiamo qui.
Diciamo, senza generalizzare, che il Meridione porta nei suoi cromosomi una cultura univoca, figlia di una storia. La sua storia.
Io spero che queste elezioni possano essere una prova collettiva di maturità, una specie di catarsi per tentare di porsi in maniera diversa nei confronti dello stato.
Certo vittimismo, cui ci siamo abituati a colpi di ferite durissime da parte di una classe dirigente storicamente evanescente o scellerata, deve stemperarsi in luogo di una fiera presa di coscienza delle proprie responsabilità.
Se diamo sempre tutta la colpa del nostro destino ai governanti, non andremo mai da nessuna parte.
Il terremoto in Emilia Romagna, ce lo siamo quasi dimenticato, perché quegli uomini così colpiti da un evento naturale, il giorno dopo, lavoravano in strada, davanti ai capannoni divelti, per consegnare in tempo gli ordinativi.
I terremoti dal Sud sono durati venti, trenta e anche quarant’anni di ricostruzione. E non solo per colpa della classe dirigente e per mancanza di fondi.
Se queste elezioni non porteranno nulla fuori di noi, che possano portare qualcosa dentro di noi. Almeno non saranno inutili.