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Benedetto Croce, il filosofo meridionale che contrastò il fascismo
25 Set 2015 09:00

Vi sono momenti della realtà ove l’imperscrutabilità, frutto della sua velocità, richiede uno sforzo storico, quasi salvifico.

Ma l’oggettivizzazione storica necessita di una approfondita conoscenza di essa.

Il fascismo, nell’atto costitutivo di San Sepolcro, si presentò come un movimento rivoluzionario.

A leggere i suoi teoremi, essi sembrano intersecare quelli apparsi sulla Pravda del 13 dicembre del 1917, ovvero l’atto costituente del Partito Bolscevico, ad opera di Lenin.

Due rivoluzioni culturali, prima che politiche.

Il partito fascista, nel manifesto redatto da Giovanni Gentile e Benito Mussolini, si presentava con i crismi della libertà, per la costruzione di un uomo spiritualmente nuovo.

Le teorie erano mutuate dall’Attualismo (una derivazione dell’idealismo), in cui Gentile cercava di frenare le ondate di positivismo che traversavano l’Europa.

Così le sue idee sullo spiritualismo, furono fondamentali per la formazione del Partito fascista.

Secondo Gentile e Mussolini, l’uomo del fascismo “è un individuo frutto di una legge morale che stringe insieme gli individui in una missione, che sopprime l’istinto di una vita chiusa nel breve giro del piacere, per instaurare una vita, in cui tramite l’abnegazione di se’ ed il sacrificio dei suoi interessi particolari, anche della stessa morte, realizza l’esistenza tutta spirituale, in cui risiede tutto il valore di un uomo”.

Intorno a tali idee si coagularono il meglio degli intellettuali Italiani, della borghesia, del ceto baronale meridionale, che videro in questo nuova forza una rivoluzione, che avrebbe trainato il paese fuori dall’immobilismo dell’era Giolittiana.

Lo squadrismo era considerato un aspetto marginale, il più immediato quindi il più superficiale. Infatti, lo stesso Giolitti, nel suo ultimo governo, aveva dato mano libera allo sfogo dei fascisti, per contrastare le relative violenze del socialismo massimalista, dei movimenti anarchici e del bolscevismo gramsciano.

Anche Benedetto Croce prese parte a tale rivoluzione culturale. Ma dopo un breve periodo, iniziò a leggere nel fascismo i crismi di una possibile dittatura. E dopo il delitto Matteotti ne prese le distanze.

L’amicizia tra Croce e Gentile, nata nella rivista “La Critica” dello stesso Croce, finì con una divisione concettuale sull’idealismo. E soprattutto per il “Manifesto degli Intellettuali Fascisti”, redatto da Gentile e pubblicato nell’aprile del 1925 sul Popolo d’Italia, dove il filosofo di Castelvetrano, chiedeva agli uomini di cultura di aderire all’ideologia del partito. Firmarono in duecentocinquantuno.

Ad esso Croce oppose coraggiosamente, il “Manifesto degli antifascisti”, pubblicato su “Il Mondo” nel maggio dello stesso anno.

Firmarono: Gaetano Salvemini, Matilde Serao, Eugenio Montale, Luigi Einaudi, Giustino Fortunato e tanti altri personaggi di spicco della cultura italiana.

Croce prese i suoi rischi. Infatti Mussolini reagì veementemente con i suoi.

Gli attacchi di Croce erano una spina nel fianco, ma il calcolo lucido che fece il duce, fu quello di “vendere all’Europa” la libertà di dissenso di Croce, come atto di liberalità del regime.

Nello stesso tempo, l’incarcerazione di un uomo della visibilità internazionale di Croce, avrebbe rappresentato un duro colpo diplomatico con le altre nazioni.

Il cavaliere Mussolini, chiese ai suoi: “Quante copie tira ‘La Critica’?.

“Millecinquecento”  gli risposero.

“Allora lasciatelo perdere!”.

Croce oltre ad essere un filosofo, era anche uno storico. Suo era il capolavoro “Storia del Regno di Napoli”. E la sua capacità di parallelismi storici gli faceva leggere il fascismo con critico acume. Vedendolo non tramite il filtro della sua retorica, delle sue opere architettoniche, delle riforme del sistema, dei sofisticati codici giuridici, della costituzioni di importantissimi enti che ancora sopravvivono, oppure dagli uomini di valore di cui si circondava (Bottai, Rocco, Dino Grandi), ma nell’oggettività della sua azione e delle conseguenze future sugli individui.

Sappiamo come è andata a finire.

Croce, dopo la fine della guerra, definì il fascismo una “malattia morale” intercorsa all’Italia, tra il Regno Sabaudo e la costituzione della Repubblica.

E molti si sfilarono dal fascismo progressivamente, nel momento in cui si andava disvelando la sua natura.

Non una rivoluzione culturale ma una dittatura.

Tra coloro che si defilarono, anche il giovane Montanelli ed il giovane Scalfari, pure loro abbagliati da quello spirito della prima ora, che prometteva ben altro.

Benedetto Croce, il più illuminato degli intellettuali italiani della storia del Novecento, morì a Napoli, la mattina del 20 novembre del 1952, tra i libri della sua biblioteca. Era nato a Pescasseroli in provincia dell’Aquila, il 25 febbraio del 1866.

Un grande meridionale.


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