“A provocare la maggior parte dei traumi maxillo-facciali sono attività considerate semplici e non a rischio – spiega il professor Galiè – Secondo una casistica di 9.543 interventi rilevati dalla letteratura internazionale, la più grande statistica sulla frequenza dei traumi, il 38% dei casi è legato a incidenti domestici, che coinvolgono soprattutto uomini. Le cause possono essere legate all’uso incosciente di motoseghe o a cadute da una scala o da un’altalena per i bambini”.
Vi sono poi i nuovi incidenti stradali. “Se negli ultimi decenni l’obbligo di cinture, caschi, airbag aveva contribuito a far diminuire le fratture di naso, zigomi, mandibole, mascelle, negli ultimi cinque anni a Roma e nelle grandi metropoli vi è stata un’inversione di tendenza – sottolinea il professor Valentini – Il casco integrale, che metterebbe a riparo quasi tutto l’impianto maxillo-facciale, è poco diffuso, a vantaggio di caschi più leggeri, talvolta neppure omologati. Inoltre, vi è stato un significativo aumento di scooter e monopattini, con questi ultimi particolarmente esposti agli incidenti: non prevedono l’obbligo di un casco e hanno una struttura leggera, con rotelle piccole e un semplice manubrio a governarli; le infrastrutture poi non sono sempre sicure. La conseguenza è che quando si cade si tende a sbattere il volto per terra con maggiore frequenza e intensità. In breve, questa nuova mobilità ha portato a uno stravolgimento dei traumi da strada che sta cambiando l’eziologia e i tipi di fratture, visto l’impatto violento che subisce il volto”.
In ambito sportivo ci sono alcuni casi noti di atleti che utilizzano le mascherine per proteggersi dopo importanti interventi, come il francese Kylian Mbappè agli scorsi europei o Victor Osimhen le ultime stagioni col Napoli. La chirurgia maxillo-facciale ha proprio in chi fa sport il 31% dei casi. “Spesso i traumi dovuti a scontri sportivi si verificano anche a livello giovanile, con fratture del naso, dello zigomo, dell’orbita, della mandibola – sottolinea Galiè – L’agonismo è diventato esasperato e i traumi sportivi aumentano, soprattutto in sport come calcio, basket, ciclismo, sci, in quanto sono previste meno protezioni e ci sono dinamiche che tendono a proiettare il volto in avanti. Per praticare sport bisogna essere allenati e capire quando possa essere opportuno fare un passo indietro”.
Le grandi città sono poi vittime di un aumento di episodi di violenza. “L’incremento della microcriminalità a scopo di rapina o la semplice diffusione di baby gang ha comportato un impatto anche nel campo chirurgico, dove tra i traumi da aggressione sono sempre più frequenti le ferite da armi da taglio, talvolta anche complesse da sanare – aggiunge Valentini – Il volto, infatti, oltre che dai vasi sanguigni è caratterizzato anche dalla presenza dei nervi, tra cui il nervo facciale che fa muovere la muscolatura del volto. Un centro di chirurgia maxillo-facciale deve dunque essere pronto per affrontare le lesioni nervose oltre che le fratture del volto”.
Per far fronte a questi nuovi tipi di traumi, la chirurgia maxillo-facciale si è attrezzata con novità tecnologiche: chirurgia mini-invasiva, endoscopia, intelligenza artificiale rappresentano le ultime frontiere in grado di minimizzare e in alcuni casi di eliminare gli effetti di traumi violenti, oltre che di malformazioni e delle conseguenze dei tumori della zona testa-collo. Il volto umano, infatti, è il nostro biglietto da visita, il riflesso delle nostre emozioni e la chiave per le nostre relazioni: per questo la chirurgia maxillo-facciale si rivela una risorsa vitale per restituire non solo la funzionalità, ma anche la dignità e l’autostima ai pazienti.
Al 27° Congresso EACMFS è giunto anche il contributo del professor Eduardo Rodriguez, direttore del dipartimento di chirurgia plastica del Nyu Langone a New York, che nel 2023 ha realizzato il primo trapianto al mondo di un occhio intero – e di parte del viso – eseguito su un uomo americano di 46 anni sopravvissuto a un gravissimo infortunio sul lavoro dovuto a una scossa dall’alto voltaggio elettrico. Ciò non significa che abbia recuperato la vista, ma la qualità del bulbo oculare e la retina sono tornate molto buone. D’altronde l’intento non era tornare a vedere, ma favorire la ricerca in vista di successivi progressi.
“Da questo caso si potrebbero aprire nuove frontiere per il recupero della vista in pazienti con traumi, malformazioni, neoplasie che hanno provocato la perdita di un occhio – afferma il professor Galiè – Tuttavia, il percorso è ancora da costruire e deve essere sempre improntato alla tutela del paziente. La tecnologia sta eliminando progressivamente ogni limite, ma bisogna fare considerazioni dal punto di vista etico, morale, psicosociale e di sostenibilità, tenendo al centro non la tecnologia ma il paziente stesso”.
– foto ufficio stampa Diessecom –
(ITALPRESS).