“Signor Ministro – scrive Claudia Ratti – se vuole risolvere i problemi dell’esistenza degli ‘sfaccendatì nascosti dietro lo smart working la soluzione non è accusare in modo indiscriminato tutti i lavoratori che usano questo strumento, ma investire in formazione e tecnologia”.
“Nel 2022 – continua la sindacalista – la tecnologia potrebbe risolvere tutti i suoi timori e, se utilizzata correttamente, potrebbe portare a una equivalenza dello smartworking con il lavoro in presenza, sia come produttività che come controllo. Invece, dopo due anni di pandemia, non si è investito un euro per introdurre procedure sicure ed efficienti per il lavoro da remoto e per la formazione dei dirigenti, spesso più lontani dalle tecnologie degli stessi loro collaboratori. Lo smart working è una modalità di lavoro che deve consentire alle Amministrazioni di essere maggiormente efficienti ed efficaci attraverso infrastrutture adeguate e dipendenti motivati e soddisfatti, capaci di contemperare le esigenze del lavoro e quelle familiari, ottimizzando i tempi di spostamento”.
(ITALPRESS).