E ciò in quanto è proprio la configurazione della disposizione censurata che ha consentito all’autorità amministrativa di bloccare l’ingresso dei nuovi operatori nel mercato del NCC semplicemente rinviando, “con il succedersi dei decreti (ovvero con la loro emanazione e la loro successiva sospensione), la piena operatività del registro informatico”, come del resto ha dimostrato la concreta vicenda storica. E’ quindi rimasta del tutto inascoltata – ha osservato la sentenza – la preoccupazione dell’Autorità garante delle concorrenza e del mercato (AGCM) volta a evidenziare che “l’ampliamento dell’offerta dei servizi pubblici non di linea risponde all’esigenza di far fronte ad una domanda elevata e ampiamente insoddisfatta, soprattutto nelle aree metropolitane, di regola caratterizzate da maggiore densità di traffico e dall’incapacità del trasporto pubblico di linea e del servizio taxi a coprire interamente i bisogni di mobilità della popolazione”.
La norma censurata ha pertanto causato, in modo sproporzionato, “un grave pregiudizio all’interesse della cittadinanza e dell’intera collettività”. I servizi di autotrasporto non di linea, infatti, concorrono a dare effettività alla libertà di circolazione, “che è la condizione per l’esercizio di altri diritti, per cui la forte carenza dell’offerta” – che colloca l’Italia fra i Paesi europei meno attrezzati al riguardo – generata dal potere conformativo pubblico ha indebitamente compromesso “non solo il benessere del consumatore, ma qualcosa di più ampio, che attiene all’effettività nel godimento di alcuni diritti costituzionali, oltre che all’interesse allo sviluppo economico del Paese”.
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(ITALPRESS).