23%. Anche le aspettative sul mercato del lavoro nei successivi dodici mesi sono divenute più favorevoli; i nuclei con capofamiglia nella posizione di lavoratore autonomo restano più pessimisti. Le famiglie non si attendono che l’emergenza sanitaria venga superata entro un orizzonte ravvicinato: solo il 16% ritiene che verrà meno nel corso del 2021, mentre un terzo stima che si protrarrà almeno fino al 2023.
Quasi il 70% delle famiglie prevede per l’anno in corso un reddito pari a quello percepito nel 2020. Poco più di un sesto si attende che sarà inferiore; tale quota sale a un quarto tra coloro che ritengono che l’emergenza sanitaria si protragga più a lungo. Poco meno di un terzo dei nuclei riporta di aver percepito nell’ultimo mese un reddito più basso rispetto a prima dello scoppio della pandemia; il calo è più diffuso tra quelli con capofamiglia lavoratore autonomo o disoccupato e nelle zone che al momento dell’intervista erano maggiormente colpite dall’emergenza sanitaria (zone arancioni e rosse).
Il peggioramento delle condizioni reddituali ha continuato a essere mitigato dalle misure di sostegno al reddito: tra dicembre del 2020 e febbraio del 2021 ne avrebbe beneficiato un quarto delle famiglie. Oltre il 60% dei nuclei dichiara di avere difficoltà economiche ad arrivare alla fine del mese, 10 punti percentuali in più rispetto al periodo precedente la pandemia.
La percentuale è aumentata di oltre 20 punti (al 65%) per i nuclei il cui capofamiglia è un lavoratore autonomo. Poco meno del 40% delle famiglie riporta che negli ultimi dodici mesi si è verificato che il reddito familiare non fosse sufficiente a coprire le spese; quasi la metà di queste riferisce che in assenza di reddito o trasferimenti non disporrebbe di risorse finanziarie proprie per far fronte ai consumi essenziali nemmeno per un mese. I comportamenti di consumo delle famiglie continuano a risentire dell’emergenza sanitaria. Oltre l’80% dichiara di aver ridotto le spese per servizi di alberghi, bar e ristoranti e di aver effettuato meno frequentemente acquisti in negozi di abbigliamento rispetto al periodo precedente la pandemia; una quota pari a due terzi riporta una spesa più bassa per i servizi di cura della persona.
(ITALPRESS).