“Lo stent – ha spiegato Montorsi – è un tubicino di lega di metallo che viene inserito in un’arteria quando è bloccata dalla patologia coronarica e crea un’impalcatura per mantenere aperto il lume dell’arteria e fare passare il sangue in maniera corretta”.
Ne possono essere utilizzati anche più di uno. “Se ne possono mettere finchè se ne vuole – ha affermato – e quanto è necessario. Tutto dipende dall’entità della malattia”.
Per Montorsi “quando i pazienti sanno che il destino è quello di fare una coronarografia e mettere uno stent chiedono se possono uscire la sera perchè hanno un impegno da mantenere” però “di fatto è un intervento importante”. “Il paziente è sveglio – ha spiegato – perchè si fa solo un pò di anestesia locale nel punto dove entriamo con il tubicino per mandare gli stent fino al cuore”.
Il cambiamento della qualità della vita avviene rapidamente. Infatti, il “paziente classico” che “è arrivato dal medico perchè ha dolore al petto facendo una corsa” e a cui viene messo lo stent, “dal giorno dopo fa nuovamente la corsa senza avere disturbi”.
In quali situazioni a un paziente viene indicata l’ipotesi di fare un’angioplastica o stent oppure viene avviato al cardiochirurgo? “La decisione è semplice – ha spiegato – e si basa sulla nostra letteratura scientifica e sull’esperienza che ha l’operatore. Per decidere se un paziente diventa chirurgico oppure può risolvere il proprio problema con l’angioplastica bisogna vedere com’è il paziente, se ha sintomi, e vedere la sua funzione del cuore”.
Inoltre, secondo Montorsi, lo stent “è come un diamante: è per sempre”. “Però nel tempo – ha aggiunto – si può sporcare nel senso che la placca può riformarsi e ostruire il lume. In quel caso il paziente può avere ancora disturbi ma con palloncini speciali possiamo pulire lo stent, che però rimane in quel punto. Ormai da parecchio tempo esistono stent che sono riassorbibili. Svolgono il ruolo all’inizio, poi nel giro di 6/9 mesi si dissolvono: il paziente ha l’arteria dilatata e nulla di metallico dentro”.
Fondamentale il tema dello stile di vita. “La prima cosa importante – ha sottolineato Montorsi – è far capire al paziente che è entrato nella categoria di pazienti con la cardiopatia ischemica. Deve sapere che quello che è stato fatto è un salvavita. A parte i farmaci, tutti i fattori di rischio presenti in maniera più o meno importante devono essere perfetti. Quindi peso giusto e alimentazione giusta”.
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