Nel documento, la Corte ha rilevato che, “malgrado le cospicue risorse umane e finanziarie impiegate, il volume delle informazioni raccolte sui beni sequestrati o confiscati non è ancora confluito in un sistema di dati affidabile, completo e pienamente consultabile”.
Secondo i giudici contabili, inoltre, “gli ostacoli maggiori nel destinare a nuovo uso i beni sequestrati alle mafie sono legati, oltrechè alla lunghezza dei procedimenti, alla ridotta disponibilità finanziaria dei Comuni e degli enti del terzo settore, che rende difficoltoso l’avvio dei progetti di reimpiego sociale delle strutture sottratte alle organizzazioni criminali, soprattutto nel caso di immobili in cattivo stato manutentivo o soggetti a spese di gestione”. Anche in presenza di adeguate risorse – ha aggiunto la Corte -, la scarsa conoscenza della loro esistenza e delle modalità di acquisizione costituiscono significativi elementi di intralcio al riutilizzo sociale dei beni nell’ambito delle politiche di contrasto alle mafie. Le ulteriori difficoltà nell’elaborare stime affidabili ed attuali sul valore di mercato dei beni e la lunghezza dei tempi necessari alla verifica dei crediti dei terzi in buona fede delineano – ha concluso la magistratura contabile – un panorama complessivo che richiede una rinnovata capacità di concentramento delle energie umane e finanziarie – pur adeguatamente presenti nel sistema – per restituire slancio e credibilità all’azione istituzionale”.
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(ITALPRESS).