“Laddove questa condizione non sussista a causa dell’assenza di azionisti rilevanti o della indisponibilità di questi a presentare proprie liste – ha argomentato Andrea Zoppini, professore di Diritto Civile nonchè advisor Tim nel percorso che l’ha portata alla nomina del nuovo Cda con lo strumento della lista del Cda – e purchè ci sia l’accordo unanime fra gli azionisti, la lista del Cda si presenta in effetti come un utile strumento per giungere alla formazione del nuovo board”.
Ma quando queste condizioni non si presentano perchè sono presenti soci stabili o di controllo o manca l’accordo fra gli azionisti, ha sottolineato Antonio Nuzzo, direttore della School of Law della Luiss, “la lista del consiglio presta il fianco a rischi di opacità degli assetti di controllo, di irrigidimento dei meccanismi di avvicendamento degli amministratori e in definitiva di autoreferenzialità ed autoprotezione”.
Negli ultimi anni sul piano della governance delle società quotate molto è stato fatto, ha detto Paola Severino, presidente del Consiglio scientifico della School of Law. Giuseppe Vegas, ex presidente Consob, ha osservato come “dal dibattito sia emerso come la lista del Cda possa distorcere gli obiettivi generali di sviluppo economico del sistema condannando l’azienda alla conservazione e quindi al declino se consente la compressione dei diritti degli azionisti o la cattura degli amministratori da parte di chi compila la lista”. Quanto alle liste di minoranza, “esse sono uno strumento per dirimere alcuni possibili conflitti tra un management ego-centrato e il mondo delle minoranze, ma non sono l’opposizione all’interno di un Cda”, secondo il presidente di Assogestioni, Tommaso Corcos. Il dibattito ha evidenziato l’importanza in materia di un intervento del legislatore o quantomeno dell’autorità di regolazione (la Consob) in grado di garantire tutti gli azionisti dai rischi di autoreferenzialità e persino di autocrazia degli organi amministrativi.
(ITALPRESS).