Il Mezzogiorno oggi “è molto articolato al suo interno con caratteristiche di sviluppo molto diverse a seconda del territorio. In 10 anni osserviamo che il divario è aumentato rispetto al Centro Nord rimanendo su valori al di sotto del 70% del Pil procapite con tassi di disoccupazione pari al doppio o al triplo rispetto al Centro Nord, un problema molto serio che, in aggiunta alla migrazione intellettuale, rischia di avvitare questa area del Paese in una situazione drammatica. Per quanto riguarda i Neet, ovvero i non occupati e non istruiti o formati, si tratta di un problema italiano. Il nostro Paese -spiega Esposito- ha numeri record in Europa. Tra gli altri ci sono due fattori determinanti. Il primo è che le persone, soprattutto al Sud sono scoraggiate per cui non entrano proprio sul mercato del lavoro, affidandosi a meccanismi di tipo familiare. Poi c’è il fenomeno del sommerso e tutta l’economia informale che nel Mezzogiorno ha valori intorno al 18-20%”. Per quanto riguarda il Piano nazionale di ripresa e resilienza, “le risorse che arriveranno al Meridione sono pari all’intervento straordinario della Cassa del Mezzogiorno con una modalità di verifica molto stringente secondo la quale è indispensabile raggiungere certi obiettivi. Il 40% delle risorse territorializzabili del Pnrr dovrebbero andare al Mezzogiorno e si stanno realizzando una serie di bandi per allocarle, molto spesso però le quote non vengono esaurite a causa della carenza di progettualità. Bisogna dotare le amministrazioni di professionalità adeguate sulla progettazione e intervenire sui parametri retributivi che non sono attrattivi. E’ importante -continua Esposito- rafforzare la capacità di integrazione nazionale e locale sennò rischio è che tutte queste risorse non vengano impiegate”. Il Covid nel 2020 ha capovolto l’Italia e l’ha allungata in termini di divari territoriali. “Il Mezzogiorno è andato meno peggio rispetto al resto del Paese perchè avendo una minore concentrazione dell’industria manifatturiera è riuscito ad assorbire il colpo e la maggiore presenza di pubblica amministrazione ha agito per sostenere i redditi. Le aree a maggior presenza di industria manifatturiera e piccola impresa sono quelle che hanno perduto di più”. Nel 2021 “l’Italia si è girata ancora, con la ripresa della manifattura e soprattutto quella rivolta all’export, si sono superati i valori del 2019. Per il 2022 la performance attesa è positiva e la guerra sta agendo da detonatore per quei fenomeni già in corso come l’aumento del costo delle materie prima e dell’energia. In Italia abbiamo circa un 80% di imprese a capitalismo familiare che non vuol dire che siano di piccole dimensioni. L’Italia ha tante piccole imprese gestite dai titolari del capitale con governance familiare e ridotta presenza di manager. Il modello però funziona bene quando oltre all’imprenditore c’è anche un manager esterno alla famiglia”. Secondo Esposito “il nostro sistema produttivo ha avuto un forte processo di riorganizzazione silenziosa, dal 2008 in poi c’è stata un’espulsione di imprese dal mercato. Questo spiega perchè abbiamo retto e sviluppato nel 2021. Per il futuro bisogna considerare i fattori di breve periodo, congiunturali che potrebbero rallentare la ripresa tenendo presente che serve l’attività di accompagnamento per le imprese più piccole”.
(ITALPRESS).