- Stanislao Rizzo è un luminare dell’oculistica nato in Calabria
- Cresciuto a Cosenza, per gli studi si è trasferito in Toscana, dove ha avuto successo
- Oggi è il primo in Italia a impiantare la Nano Retina 600
Benché la Calabria non sia famosa per il successo del suo sistema sanitario, continua comunque a sfornare talenti della medicina. In questo caso si parla di un oculista, Stanislao Rizzo, che questo mese è riuscito laddove per molto si è pensato fosse fantascienza: ridare la vista a un paziente cieco attraverso una retina artificiale.
Stanislao Rizzo, tra i pionieri dell’occhio bionico
Rizzo ha origini calabresi, di Cosenza, ma fin dai tempi dell’università ha deciso di studiare fuori, nello specifico a Firenze. Lì si è laureato e poi specializzato in Oculistica, ed è proprio in Toscana che ha mosso i suoi primi passi verso quello che poi si è rivelato il suo successo professionale ed accademico. Al punto che qualche tempo fa non solo ha raggiunto un risultato record di tremila operazioni all’anno, ma è stato tra i primi ad utilizzare Argus, ovvero la prima protesi retinica mai usata su una persona non vedente.
Oggi è il direttore dell’Unità Operativa Complessa di Oculistica del Policlinico Universitario Gemelli, oltre ad insegnare Malattie dell’apparato visivo all’università di Firenze e Cattolica del Sacro Cuore. Proprio lì si è distinto a fine ottobre per il successo di un altro suo intervento rivoluzionario, quasi ai limiti della fantascienza.
Ridare la vista, “il sogno di qualunque medico”
La scienza difatti va avanti, e nuovi tipi di impianti vengono prodotti. Come NR600, ideato dalla startup israeliana Nano Retina. Una retina arficiale dotata di ben 400 elettrodi contro i 60 dell’ormai “anziana” Argus. Tra i chirurghi prescelti per testare l’impianto in Europa proprio il professore Rizzo. L’obiettivo è quello di far ricevere a questa tecnologia la certificazione CE, così da poter aiutare il maggior numero possibile di persone non vedenti in UE ad avere più autonomia. Nell’ultimo anno NR600 era già stata impiantata cinque volte, in Israele e Belgio. Oggi, però, questa innovazione tocca l’Italia.
“L’idea di restituire anche solo una parvenza di vista a persone che vivono da anni nel buio – spiega Rizzo a PrimaPaginaNews – è il sogno di qualunque medico”. Ma, utilizzato su un paziente di 70 anni con retinite pigmentosa, “l’occhio bionico” non fa tornare esattamente la vista. Fin subito dopo l’operazione l’uomo ha rivisto la luce, ma l’acquisizione di immagini (o, per dire più esattamente, forme “pixellate”, luci e ombre) avverrà soltanto dopo tempo. Necessario infatti un periodo di “allenamento” dell’occhio.
NR600, come funziona la retina artificiale
Spesso 1 millimetro, NR600 è stato posizionato da Rizzo sulla retina del paziente. Lì degli elettrodi hanno “sostituito” i fotorecettori biologici, collegandosi al cervello attraverso le cellule gaglionari, fornendogli così informazioni. In poche parole, un dispositivo di minuscole dimensioni permette al cervello di un paziente cieco di tornare ad elaborare dati sulla luce. NR600 si alimenta tramite degli occhiali particolari, che proiettano sulla retina artificiale dei raggi infrarossi che a loro volta attivano due piccoli impianti fotovoltaici. E non solo: gli occhiali contengono inoltre un software che rielabora gli input esterni trasformandoli in impulsi elettrici.
Un funzionamento sicuramente complesso, ma che ha già prodotto grandi risultati. Attraverso un training dell’occhio, infatti, il paziente potrà tornare a riconoscere il movimento degli oggetti, e prima ancora la forma stessa di quanto lo circonda. Si tratterà di figure non particolarmente chiare e in bianco e nero, ma comunque sufficienti a garantire un’autonomia superiore a chi lo usa. Come spiegato dallo stesso Rizzo nell’intervista, proprio per questo non tutti possono essere scelti per questo trial clinico. Si deve trattare di una persona disposta a collaborare con l’équipe medica in un lungo percorso di adattamento degli elettrodi alle necessità dello specifico occhio, e che sia cosciente del fatto che la vista finale non sarà mai pari a quella di una persona vedente.
Le difficoltà della ricerca sugli impianti retinici
Una grande soddisfazione, che è stata però preceduta da un periodo di amarezza. Negli ultimi anni, infatti, la ricerca nell’ambito degli impianti retinici ha vissuto un rallentamento. “Solo i pazienti divenuti ciechi in età adulta possono trarne beneficio – aveva dichiarato il professore cosentino a IAPB Onlus – perché la corteccia visiva deve aver ricevuto durante lo sviluppo della visione i necessari stimoli per la sua crescita. Una delle patologie che possano risentire favorevolmente di tale tecnologia è la retinite pigmentosa avanzata, in cui i fotorecettori retinici sono andati completamente distrutti ma le cellule deputate alla conduzione dello stimolo visivo ancora sopravvivono”.
Ciò ha perciò allontanato gli investitori da questo settore, perché il percorso di sperimentazione e approvazione degli impianti è molto lungo e riguarda un bacino di persone scarso rispetto ad altri ambiti. Nonostante ciò, alcune aziende – come, appunto Nano Retina – continuano ad inventare e produrre strumenti di questo genere, che poi viaggiano per tutto il mondo.
(Immagine da: https://www.casadicurasanrossore.it)
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