Classe 1980, è cresciuto tra la pasticceria di famiglia con i suoi profumi. Andrea Bosca è uno dei volti più apprezzati degli ultimi anni per le doti interpretative che possiede nell’impersonare ruoli tra i più diversi tra loro. E’ un attore versatile di cinema, teatro e televisione; ha collaborato con grandi registi come Lucini, Manfredonia, Martone, Özpetek, Zaccaro, solo per citarne alcuni. Anche questo giovedì lo vediamo in prima serata su Rai1 nella quinta puntata della fiction di successo diretta da Carmine Elia, “La Dama Velata”. In quest’intervista ripercorriamo la sua carriera nei suoi momenti più significativi.
Chi è Andrea Bosca oggi?
Un ragazzo semplice che ama recitare. Viene da una famiglia di lavoratori e, a suo modo, ritiene di essere un artigiano. Ama impersonare personaggi lontani dal proprio io per vivere la vita con maggiore ampiezza. Se il ruolo richiede un viaggio scomodo, conta tranquillamente su di lui.
In queste settimane ti vediamo tra i protagonisti de “La Dama Velata”. Cosa ti ha spinto a dire sì a questa serie tv?
Mi piaceva la scrittura: i personaggi sono avvincenti. Il regista, Carmine Elia, mi conosceva già; voleva un giovane disposto a vivere tutto il disamore in cui questa figura è immersa. Avevo già lavorato con la LUX trovandomi molto bene. Cornelio, il mio personaggio, ha una personalità borderline. Mi piaceva l’idea di fare qualcosa che spaventasse anche i miei amici più stretti per il cuore nero che andavo a impersonare. Non mi sono lasciato scoraggiare dalla sua negatività, sapendo che il pubblico sarebbe riuscito a distinguere l’attore dal personaggio.
Interpreti Cornelio. Ci racconteresti un pochino meglio del tuo personaggio? Come ti sei preparato?
Il lavoro su Cornelio parte da una rilettura profonda del testo. Ho cercato di vivere i sentimenti, anche se spesso terribili, che lo attraversano. Ho immaginato le scene, insieme ai compagni di viaggio (in particolare a Lino Guanciale) e al regista. Ho passato del tempo analizzando la storia e cercando di calarmi al meglio nel ruolo, tentando di capire come si muoveva, come si vestiva e come cavalcava. Le lezioni di equitazione sono state importantissime perchè quando ero Cornelio il cavallo sembrava capire che c’era qualcuno al comando, mentre se rimanevo me stesso se ne andava a spasso. Cornelio ha la potenzialità di un grande arco; può essere quello di una conversione o quello della piena maturità. Sono contento di vedere che in molti hanno cominciato a chiedersi che svolta avrà il mio personaggio. Per ora, è emerso come un ragazzo non proprio sicuro di sé, se non addirittura succube della madre.
C’è qualcosa che ti accomuna e che ti differenzia da lui?
Mi accomuna la determinazione, non mi accomuna il disamore e la perfidia. Sono una persona semplice, mi ritengo un ragazzo positivo e un vero amico. Cornelio è un vero e proprio distruttore. Odio la violenza! Alla prima di “Venuto al mondo” di Castellitto sono sprofondato alla vista di quanto può essere meschino l’uomo. Cornelio ha di me tutto ciò che serve a renderlo vivo, probabilmente i miei sentimenti più indifesi.
Pensando alla tua brillante carriera, la tua prima interpretazione?
Mi ricordo un “Re Mida” in uno spettacolo teatrale alle medie. La prof di italiano aveva organizzato un corso con un vero attore di Roma, il Sig. Maravalle. Ci ha spiegato la dizione e ci ha diretti sul palco. E’ stata una folgorazione. Nel primo atto facevo comicamente un ubriacone, nella seconda parte diventavo Re Mida.
Quando hai deciso di fare l’attore seriamente? Quali ricordi hai?
Tra medie e superiori, ho frequentato la compagnia teatrale di Canelli nella mia cittadina. Avevamo mestieri diversi ma alla sera ci trovavamo per studiare recitazione. A diciotto anni mi sono spostato a Torino per poi entrare alla Scuola del Teatro Stabile di Torino. Ricordo ancora quando il mio Maestro Mauro Avogadro mi telefonò per dirmi che avevo passato il provino con sgomento, incredulità e tanta gioia. Anni e compagni indimenticabili! Bella, forte, quell’esperienza che ha contribuito alla mia cresacita. Il rapporto stretto coi compagni ti permette di vedere i mille modi in cui si può affrontare o non si deve affrontare una scena. Ogni tanto ti sentivi forte, ogni tanto entravi in crisi. Ma era un momento vivo, ognuno di noi faceva le ore piccole per studiare e per portare avanti l’università. Certezze, nessuna. Voglia di fare a mille.
Provieni da una famiglia di pasticceri, i tuoi genitori come hanno preso la tua scelta?
Inizialmente erano spaventati, perchè sembrava una scelta rischiosa e difficile. Penso che sia molto difficile sentirsi dire da un figlio che vuole fare l’artista. La mia famiglia è sempre stata gente molto pratica. Non avevamo conoscenze. E’ stato un salto nel vuoto. Fortunatamente, durante il percorso, sono riuscito a conoscere e a farmi conoscere da grandi maestri, tra cui Ronconi. All’inizio del duemila poi ho deciso di trasferirmi a Roma.
Quanto è importante il teatro? Cosa rappresenta per te?
Rappresenta il mio primo amore, il desiderio di tornare a essere diretto da un grande regista, la voglia di fare e di progettare, inventare nuove cose con la mia compagnia “Dramelot”. Mi manca da un po’.
Il grande pubblico ti conosce grazie a Guido Albinati. Questo personaggio ha regalato forti emozioni a chi ti ha seguito. Che ricordi hai?
Bellissimi! Col regista Riccardo Donna è nato un sodalizio che dura da ben 10 anni. E’ stata la mia prima volta in una lunga serie tv. Con “Raccontami”, è stato amore a prima vista.
Nel 2008 arriva anche il cinema e soprattutto un ruolo difficile come quello di Gigio. Come ti sei preparato per questo ruolo?
Ho preso il copione, seguito attentamente le prove di Giulio Manfredonia e un gruppo di attori straordinari. Ho improvvisato, rubando tutto il rubabile, per poi tornare al mio paese di origine per visitare i miei amici della Comunità Il Melograno di Vesime. Sono stati loro ad ispirarmi! Le persone vere, con una vita vera. Gigio è nato qui, il suo corpo è nato in palestra. Ho amato follemente “Si può fare”.
Sei stato protagonista del film “Gli Sfiorati” di Matteo Rovere. Come ti sei approcciato al personaggio di Méte e alla storia?
E’ stato un provino con uno dei registi meno facili da accontentare e più divertenti che io conosca! Sei mesi di studio di grafologia intrufolandomi alle lezioni del Dott. Tarantino al Serafico e altri. Un lavoro con Doris Hicks membro dell’Actor Studio di New York. Una volta arrivato sul set, l’esperienza è stata intensissima. Non ho mai vissuto quello che è successo a lui ma conosco quelle emozioni contrastanti e fortissime.
Cosa ci dici invece della tua esperienza con Ozpetek?
Mi sono molto divertito! Sono in pochi a sapere che le scene con Elio le abbiamo girate praticamente tutte il primo giorno. Solo per un attimo ho sentito pressione. Era un sogno come del resto lo è il cinema.
Suscita sempre molta curiosità il rapporto che si crea tra attore e regista: chi tra tutti coloro con cui hai lavorato ha saputo capirti e spronarti meglio? Con chi ti piacerebbe lavorare in futuro?
E’ un rapporto unico. Sento il desiderio di lavorare nuovamente con Giulio Manfredonia; sono passati anni e lui per me è stato una sfida. Nel prossimo lavoro televisivo, mi vedrete diretto da un piemontese come me: Luca Ribuoli. Spero di collaborare ancora con Luca, sono rimasto colpito. Mi ha capito in alcune scene molto delicate e mi ha spronato ad andare dove avevo paura di andare, dove mi sentivo più insicuro.
Nuovi progetti? Ci puoi anticipare qualcosa?
Sarò Marco Testa, l’ambiguo direttore del “Grand Hotel”. Spero proprio che questa nuova fiction vi piaccia. Sei mesi di lavorazione, un cast inedito e giovane, un thriller d’epoca molto avvincente. L’amore per Adele, la bella figlia della padrona è un grande motore del mio personaggio. L’ambizione personale, gli intrighi, la forza messa in campo per ottenere i miei scopi sono l’altra faccia di uno delle figure più affascinanti che mi sia mai capitato di interpretare. Mi piacerebbe che il pubblico si chiedesse: “ma alla fine, chi è davvero Marco Testa?”.
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