Occhi chiari, barba incolta e un sorriso pulito e gentile. Questo è Paolo Sassanelli, un uomo semplice, solare che svolge un mestiere non semplice, cioè quello di attore e, da qualche anno, anche quello di regista. Ha preso parte a molti film e fiction di successo, da “Classe di ferro” a “Compagni di scuola”, da “Raccontami” a “Un medico in famiglia” dove interpreta l’oramai amatissimo Oscar Nobili, da “Song’e Napule”, per il quale ottiene un Nastro d’argento al migliore attore non protagonista, fino all’ultimo film di Paolo Genovese “Sei mai stata sulla Luna?”. Ripercorro insieme a lui le tappe che, secondo me, hanno segnato la sua carriera, costellata di successi, molti successi, pur mantenendo la stessa umiltà con la quale ha mosso i primi passi, soffermandomi anche sul rapporto che ha con la sua terra, la Puglia , oltre che sul Sud in generale. Lo intervisto in una giornata di pausa dal set, perché Paolo fino a settembre è impegnato sul set della nuova stagione de “L’ispettore Coliandro”. In occasione dell’uscita dell’amatissima fiction dei Manetti bros, che uscirà a ottobre, ci rilascerà in via esclusiva un’altra interessante intervista.
Chi è Paolo Sassanelli oggi?
Un attore e, da qualche tempo, anche un regista. Ho iniziato a fare regia teatrale cinque anni fa fondando un gruppo di teatro, per poi formare un’associazione culturale con quaranta attori. Recentemente, sono stato alla regia di “Servo per due” con Pierfrancesco Favino; quest’anno ho preparato “Signore in carrozza”, un spettacolo che andrà in giro per l’Italia l’anno prossimo. Essere regista è molto entusiasmante, ma ho anche preferito continuare a svolgere il mestiere d’attore. Fino a settembre, sarò sul set della nuova stagione de “L’ispettore Coliandro” nella bellissima Bologna.
E’ nato a Bari, in Puglia. Cosa rappresentano per lei questa città e questa terra?
Sono le mie origini! Sono nato a Bari, ma cresciuto a Milano, anche se poi a quattordici anni sono tornato nella mia città natale riaccendendo così qualcosa che si era interrotto a poco più di tre anni. Il legame con la mia terra è fortissimo, un legame che, quando possibile, cerco sempre di far emergere anche nel mio lavoro. Per esempio, il prossimo lavoro teatrale fa capo a un Sud ipotetico perché immagino le “Tre sorelle” di Cechov ambientato al confine tra la Puglia e la Basilicata. Sono e sarò sempre molto legato alla Puglia, anche se ho legami con la Germania e con Roma, in cui vivo.
Quest’intervista verrà pubblicata in Resto al Sud, una testata giornalistica molto attenta alle terre del meridione. Perché secondo lei non si dovrebbe mai lasciare il Sud?
Secondo me, non esiste un Sud vero e proprio, è un’idea più che altro. Non si può lasciare il Sud, perché il legame, proprio per definizione, rimane tale, eterno. Ritengo che per quanto possa essere affascinante come angolo di mondo, lo si debba lasciare fisicamente, non per dimenticarlo ma semplicemente per conoscere altre belle realtà, pur non dimenticandolo, mai perché il Sud è storia, bellezza, accoglienza, musica, caldo, è anche magico e triste insieme.
Cosa vuol dire oggi nel 2015 essere attore e regista?
Significa avere davvero molti problemi (ride). L’attore spesso è odiato, viene giudicato fastidioso; essendo sia attore sia regista, riesco a vedere me stesso anche dall’altra parte. Capita che gli attori perdano il contatto con la realtà e che vivano a volte in una dimensione di grande frustrazione. Chi nel 2015 fa questo mestiere ha il dovere di avere i piedi ben piantati a terra e di essere anche molto realista per far sì che non vengano dimenticate le cose davvero importanti nella vita; essere attore è una parte della vita, non interamente la tua vita.
Ha sempre saputo che avrebbe fatto l’attore?
Probabilmente tutto è iniziato quando avevo circa sette anni ed ero alle elementari, a Milano; ero rimasto colpito dello spettacolo che la maestra aveva messo in scena con alcuni alunni di una classe. Ricordo anche quella volta in cui la mia fidanzata di allora mi prese a sberle perché mi aveva visto insieme a un’altra, avevo inventato una scusa così bella e precisa da sembrare davvero reale. Non so se ci sia stato un inizio preciso che ha fatto scoccare l’amore per questo mestiere, più che altro credo siano stati tanti piccoli episodi della vita che poi hanno fatto sì che prendessi una decisione.
Ha recitato in una fiction cult degli anni ’80, “Classe di Ferro”: ci racconta quell’esperienza?
Un’esperienza bellissima! Sono stati due anni vissuti con un gruppo di amici davvero unici, senza mai litigare, anni di grande divertimento in cui andare al lavoro era una vera gioia.
Com’è cambiato il mondo della fiction negli ultimi anni?
E’ cambiato moltissimo! Abbiamo cercato sempre di più di copiare gli Americani, pur non essendo in grado di farlo. Credo per certi aspetti sia cambiata in peggio, salvo quando racconta storie italiane; in questo caso, la serie tv è davvero molto buona; penso, per esempio, a “Un medico in famiglia” e a “Il commissario Montalbano”. Dovremmo fare più affidamento su quello che è il nostro talento e sulle nostre capacità.
E’ conosciuto molto anche per il personaggio di Oscar in “Un medico in famiglia”, una fiction molto seguita. Cosa pensa sia arrivato al pubblico del suo Oscar?
“Un medico in famiglia” racconta una storia diventata sempre più concreta, sia per i personaggi che popolano questa serie tv sia per le tematiche quotidiane che vengono affrontate. Sono uno dei pochi a essere presente in tutte le stagioni di questa fiction perché credo sia molto importante la presenza di Oscar, in quanto punto di congiunzione che lega il passato con il futuro.
Come viene vista la condizione dell’omosessualità oggi in Italia?
Dipende. Se una persona è informata, senza alcun tipo di problema; nel caso in cui invece si rimanga nell’ottusità e nell’ignoranza, risulta un problema essere omosessuali.
Al cinema è stato diretto da alcuni dei più grandi registi italiani, da Garrone a Piccioni, da Pellegrini alla Comencini, da Zanasi a Piva e molti altri. C’è un ruolo o un regista che ricorda con maggior piacere?
Posso dirti che tutti mi hanno lasciato qualcosa, c’è chi più, c’è chi meno e spero di avere lasciato qualcosa anch’io a loro. Con alcuni è nata una bella amicizia sul set e anche fuori.
Non molto tempo fa l’abbiamo visto tornare nella sua Puglia nell’ultimo film di Paolo Genovese “Sei mai stata sulla Luna?”, com’è stato?
E’ stato molto bello! Le scene le avevo quasi sempre con Dino Abbrescia, Sergio Rubini ed Emio Solfrizzi, ci divertivamo a prendere in giro Neri Marcorè, era la nostra vittima preferita (ride). L’unica scena che non ho girato con loro l’ho fatta con Pietro Sermonti, un amico fraterno ormai.
E’ cambiato il modo di fare cinema in questa terra?
Assolutamente sì. Diversi anni fa, non si faceva cinema in Puglia. Oggi invece, dopo Roma, è il luogo più raccontato. E’ stato fatto un lavoro eccellente da parte dell’Apulia Film Commission in questi anni che ha convinto molti produzioni cinematografiche a scegliere la Puglia come set. Attualmente stanno girando diversi film e fiction.
Ancora un sogno nel cassetto?
Sì certamente. Ho tanti sogni in tanti cassetti diversi. Tra questi, quello di partecipare a un film americano, mi ha sempre incuriosito e spero prima o poi di riuscirci.
A chi vorrebbe dire Grazie oggi?
Ai miei genitori, in primis, ma anche a mia moglie e ai miei figli che mi sopportano e non è semplice! Un grazie anche ai miei compagni di fede; sono buddista da oltre vent’anni e questo mi ha portato a crescere molto come essere umano.
Nuovi progetti?
Ho fatto un film di Giorgia Cecere con Isabella Ragonese e spero esca al cinema molto presto; interpreto un uomo solo e malato che ha una scuola guida. Da ottobre, mi vedrete nella nuova stagione de “L’ispettore Coliandro” e, nel nuovo anno, in “Un medico in famiglia”.
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