Sono passati ben 37 anni da quella notte, tra l’8 e il 9 maggio; una tragica storia, compiuta in un piccolo paesino della Sicilia affacciato sul mare, il cui nome è Cinisi, a 30 km da Palermo; una “piccola” storia rispetto alla grande attenzione mediatica riversata sulla capitale perché il lunedì dello stesso anno viene ritrovato il corpo del presidente della Dc Aldo Moro in una Renault 4 rossa in via Caetani. Quella stessa mattina, nel paesino a pochi chilometri dal capoluogo siciliano, i carabinieri trovano un tratto di ferrovia completamente distrutto con brandelli umani sparsi ovunque. A pochi metri di distanza, viene trovata una Fiat 850 la cui proprietaria è Fara Bartolotta, zia di Giuseppe, meglio conosciuto come Peppino Impastato.
Erano giorni molto intensi quelli per il giovane trentenne; era, infatti, in corso l’ultima settimana di campagna elettorale per il rinnovo del consiglio comunale di Cinisi, cui partecipava anche Democrazia Proletaria, una formazione di sinistra capeggiata proprio da Peppino.
Erano circa le 20.15, Giuseppe lasciava Radio-Aut, piccola emittente di controinformazione di Terrasini. Il suo intento era quello di tornare a casa per cenare, per poi fare ritorno in redazione intorno alle 21. Sale in macchina, va verso Cinisi, ma senza fare più ritorno. In quella notte, sui binari della Palermo – Trapani, viene fatto saltare in aria imbottito di esplosivo, inscenando così un suicidio-attentato, tesi sostenuta a lungo dai più. Ci sono voluti molti anni perché Peppino Impastato diventasse un morto di mafia; grazie alla determinazione di mamma Felicia e alla tenacia del fratello Giovanni, oltre che degli amici più cari, al giovane giornalista è stato restituito tutto ciò che gli era stato tolto dai depistaggi, dalle falsità e da tutti quelle procedure giudiziarie di comodo che lo riguardavano.
Era un destino segnato quello di Peppino Impastato. Era nato a Cinisi in una famiglia mafiosa. Era un militante della sinistra extraparlamentare che sin da giovanissimo, si era battuto contro la mafia, denunciandone i traffici illeciti e le collusioni con la politica. Per far questo aveva dovuto operare una rottura sia all’interno della società sia all’interno della sua stessa famiglia, una famiglia di origine mafiosa tanto che il padre aveva finito con il cacciarlo di casa. Inizia la sua lotta al crimine organizzato a partire agli anni sessanta fondando il giornale “Idea Socialista” che, a causa di articoli come “La mafia è una montagna di merda”, viene censurato; fonda poi il circolo “Musica e cultura” da cui partono le denunce dell’operato mafioso e Radio Aut, una emittente autofinanziata che manda in onda notiziari di pesante satira nei confronti dei boss locali e, in particolare, verso Gaetano Badalamenti, capo indiscusso di Cosa Nostra negli anni settanta.
Estremamente convinto dell’importanza dello strumento radiofonico quale veicolo di idee e di libertà, avvertiva l’esigenza di far sentire la propria voce e contemporaneamente dar voce anche a quelle categorie sociali meno garantite come i precari , i braccianti, i pescatori, le donne ed i disoccupati. Aut è stato il nome dato per la sua radio; deriva dal latino Aut, l’opposizione dell’oppure, di una alternativa alla informazione falsa e reticente. Non solo radio nella vita di Peppino ma anche partecipazione diretta alla vita politica e comizi, in cui cavalca i suoi cavalli di battaglia scagliandosi apertamente contro Badalamenti, in vista delle elezioni comunali del 1978 a Cinisi.
Aveva rifiutato di studiare, malgrado fosse iscritto a filosofia, perché sosteneva che l’università fosse un veicolo della subcultura borghese, una fabbrica di ignoranza al servizio del potere, eppure leggeva di tutto; aveva “rifiutato” di lavorare, secondo i canoni comuni, perché riteneva che il suo lavoro fosse l’impegno politico; non avrebbe mai abbandonato la politica, perché questo per lui avrebbe significato abbandonare la vita. Con coraggio, s’impegnava nella lotta alla mafia e questo l’ha condotto al sacrificio della sua stessa vita. Molte delle cose che diceva Impastato erano vere, la realtà era come lui la dipingeva. Peppino aveva la grande capacità di riuscire a leggere aspetti non evidenti della realtà. Forse aveva proprio ragione quando affermava che gli uomini di domani dovrebbero essere educati alla bellezza, sempre. “Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. Bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vive la curiosità e lo stupore”, così affermava Peppino.
E’ davvero così. Ognuno di noi dovrebbe vivere con entusiasmo, continuare a emozionarsi, a sognare, senza mai arrendersi, perché se non riusciamo a emozionarci, finiamo per essere degli indifferenti facendo finta che tutto vada bene, come cantava Ombretta Colli nella celebre canzone “Facciamo finta che tutto va ben”, diventata poi sigla di apertura e di chiusura di “Onda Pazza”, trasmissione di Radio Aut.
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