La vampa color zucca del lampione al sodio giù in strada illuminava una giovane donna che pareva proprio aspettare la mia corsa.
A quest’ora di notte, da quella fermata non è mai salito nessuno ma, se è per questo, neanche mi sarei mai immaginato di guidare autobus, dopo quello che mi è successo da ragazzino.
Spesso è difficile da afferrare, il percome delle cose. Ve lo dico io. La tipa mi guardava, mentre saliva.
Occhi senza occhiali, che rompono quello che vedono.
Poi riparto, tra i sibili e i sospiri del traffico notturno.
La ragazza andò a sedersi dritto sotto allo specchietto con dentro la mia faccia. Aveva i capelli di un biondo stanco, uno scompiglio di luce smorzata.
Mi disse:
– Ma quelle cifre che ti sei tatuato dietro al collo che sono?
– Non si parla al conducente – risposi infastidito, tirandomi su il bavero di dietro della camicia.
– Ok, sto zitta. Tanto l’importante è che mi porti a Piazza Le Laudi.
Si tormentava la bocca con una mano chiara, lentigginosa.
– Be’, veramente quest’autobus non ci passa, a Piazza Le Laudi… ti posso lasciare all’Agip, ma devi
farti un pezzo a piedi.
– Lo so benissimo che quest’autobus non ci passa, quello che ti chiedo è un favore. Una piccola
deviazione. Siamo solo io e te. Nessuno lo saprà.
Stavo per mandare la tipa a quel paese ma ero troppo stanco e mi ritrovai a dire:
– Ok, ma solo se non sale nessun’altro.
Il percome delle cose, un mistero peggiore dei cerchi nel grano.
Mi sfrecciò davanti, arrogante, un furgone con uno pneumatico di scorta sul muso, sputandomi in
faccia una suonata di clacson.
Alla fermata successiva, capii che davvero quella sera tutti i pazzi avevano preso di mira il mio
autobus.
Salì una ragazza, indossava un pigiama da uomo e una maglietta rosa cervice, senza reggiseno. A
piedi nudi.
Si avvicinò, aveva occhi grandi e senza età, come la luna piena vista dalla finestra di un motel.
– 1-3-0-5… cosa è successo nel 1305?
– Non è una data. E comunque io non credo proprio che lei possa girare in autobus così conciata,
la prego di scendere.
Tutti lì a fare le loro ipotesi cretine! 1305 non è una data, è un orario, l’orario della corsa di un
autobus. Quella in cui ho conosciuto il primo e unico amore della mia vita.
Lo so che vi sfuggirà il percome della cosa, ma io per tornare a casa da scuola salivo sulla corsa
delle 13.05 e c’era sempre una ragazza che io proprio me ne innamoravo ogni giorno di più. Non parlavamo neanche, lei si limitava a guardarmi negli occhi, come ad aspettare che mi si dilatassero le pupille, e poi mi regalava un sorriso come una ferita di luce. Tutti i giorni. Non è molto, ma io ora non sto bene, da quando Lea mi ha lasciato, e allora rifletto spesso sull’amore, e se penso all’amore mi torna in mente quella ragazzina, perché io proprio me ne ero innamorato di brutto. E dopo di lei mica lo so se è mai più successo.
Eppure quella ragazza dell’autobus un bel giorno smise di prendere l’autobus. E io non la vidi mai più. Dissero che si era ammalata.
Dissero che andò a curarsi fuori, così dissero.
Ma non ce la fece.
Morì che la febbre le era schizzata alle stelle arroventando pure il cielo, così mi dissero.
– È che io stanotte non posso dormire a casa – mi rispose la tipa in pigiama, tirandomi giù dai miei pensieri – perché è successa una cosa brutta. Succedono molte cose brutte a casa mia. Mio padre non si comporta bene, ultimamente. Vorrei restare a dormire dentro quest’autobus, per favore. Poi domattina vado via, giuro.
Frenai di botto.
– Non se ne parla neanche! Mi spiace ma devi scendere. Su, torna a casa.
La ragazza della “deviazione” balza in piedi.
– Se ti lasciamo dormire nell’autobus, prometti che non dici a nessuno che ora facciamo una
deviazione?
La ragazza annuì, poi si girò verso di me e mi sorrise.
Il suo sorriso era come una fioca luce dietro il ghiaccio.
Rimisi in moto.
Il percome delle scelte di una persona è qualcosa tipo gli ufo o i vampiri.
Fermo al semaforo, la strada è tagliata da una coppia di innamorati che incedono stretti,
avvinghiati, pallidi come bambole.
Finché arriviamo in Piazza Le Laudi.
La ragazza della deviazione si materializza accanto a me.
Ci siamo.
La commedia è finita.
– Ecco la tua fermata – le dissi io, con la bocca piena di paura sporca – Credi che non ti abbia
riconosciuta? Piuttosto dimmi una cosa. É così che saresti diventata se… – Se fossi vissuta ancora un po’? Sì, probabilmente ora sarei così.
La disperazione mi leccava il cuore fredda e veloce.
– Perché sei venuta?
– Volevo vedere se le tue pupille si dilatavano ancora come un tempo. Silenzio. Poi le dissi.
– Mi sei mancata. Tantissimo. Non ho mai smesso di amarti, davvero.
– Lo so. Mi mancherai anche tu.
E scese.
E io piansi come una nazione intera.
La ragazza con il pigiama si avvicinò e mi fece:
– Scusa ma stavi parlando con me?
– No. No… – le risposi, la mia voce era una spugna imbevuta di alcol e chiodi – è che in questo
periodo non sto bene, non sto per niente bene. Posso chiederti un favore? Io… ti giuro che mi comporterò bene. Ti andrebbe di dormire da me? Mi metto sul divano, tu hai la stanza col letto puoi anche chiuderti dentro. Se non puoi dormire a casa tua, dormi con me, ti prego. Ho paura a restare da solo, stanotte. Ti prego.
Lungo la strada immobile mi parve di scorgere l’ombra sfocata della prima luce mattutina, ma non era detto.
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