Intervista a Luigi Fortuna, il ricercatore siracusano di UniCt diventato un esperto mondiale nella ricerca informatica. applicata ai sistemi automatici di controllo. Ecco come è nata la sua passione per i numeri e per la ricerca matematica e scientifica.
Come si diventa uno scienziato? Come si diventa un ricercatore apprezzato e riconosciuto in tutto il mondo? Luigi Fortuna ha nel cuore le meravigliose estati della sua infanzia, trascorse nella casa di famiglia in campagna. Forse il segreto è tutto lì, buono per spiegare i risultati nel campo delle ricerche ottenuti dal ricercatore siracusano, da sempre all’Università di Catania. Le classifiche valgono quel che valgono. Ma ormai da decenni il nome di Fortuna appare negli index più autorevoli per designare i più importanti ricercatori scientifici a livello mondiale. Luigi Fortuna – insieme al collega di Ateneo, Sebastiano Battiato – anche quest’anno, è nella Top Scientists Ranking for Computer Science & Electronics, la classifica, elaborata da Guide2Research che mette insieme i più importanti ricercatori nel campo informatico al mondo. Non è semplice spiegare di cosa si occupi il ricercatore siciliano. Nel suo cv si parla di sistemi automatici di controllo, di fusione e di altre centinaia di progetti che hanno per matrice comune i numeri. E con i numeri, Fortuna ha girato il mondo degli atenei e della ricerca scientifica. “Ma alla fine sono tornato sempre in Sicilia, a Catania. Anche se vivo a Siracusa”.
Ma torniamo a quella roventi estati siracusane ed a quella casa di campagna. Ascoltiamo cosa ci racconta Luigi Fortuna: “Lì, in quella casa di campagna, ho imparato le cose importanti della vita, quelle che contano. Ho vissuto a contatto con la natura e ho imparato a coltivare la terra. Mio padre è stato un architetto. Con lui ho iniziato a scoprire la passione per lavorare il legno. Ha sempre supportato la mia fantasia con grande accondiscendenza. Crescendo, poi, ho messo le mani prima sulle biciclette che montavo e smontavo per conoscerne i segreti della meccanica, per poi passare alle motociclette. Anche la macchine da scrivere, quelle a tastiera, anche le leggendarie Olivetti 32, sono passate sotto le mie mani. Le smontavo per capirne i segreti della meccanica e poi le rimettevo insieme, pezzo per pezzo, tasto per tasto”.
“E’ stata la palestra della mia vita – continua Fortuna nel suo racconto – ed è stata anche la via per pensare in modo creativo e concreto. Faccio un esempio concreto, quando mi sono trovati davanti al problema di modificare la struttura delle ali di un aeroplano, il mio approccio iniziale, il mio modo di pensare, è stato quello di quel bambino che giocava nella campagne di Siracusa”.
Finite le interminabili estati del sud est siciliano, il ”giovane” Fortuna, però, non riponeva la creatività in un cassetto. La passione per fare lo accompagnava anche nei lunghi mesi trascorsi in città. E aveva un piccolo rifugio sicuro: un sottoscala nell’abitazione della famiglia, nel centro di Siracusa. “Quello era il mio paradiso, un piccolo arsenale di cacciaviti, pinze, pialle e cuscinetti dove provavo a costruire di tutto”.
Quel paradiso di attrezzi e legni di un tempo, oggi non c’è più. Il docente dell’Università di Catania continua a vivere, con la sua famiglia, nella casa della sua gioventù. “Abbiamo dovuto ristrutturare l’appartamento, Oggi, il mio buen retiro è una stanza circondata da libri, dove, grazie al mio banco da falegname, le idee che mi vengono in mente diventano oggetti concreti. E’ il mio laboratorio, il mio studio, il mio rifugio. Con la casa sommersa di libri, ogni tanto devo costruire degli scaffali nuovi per metterli in ordine”.
“Quel sottoscala è il mio Aleph”: così Fortuna, non a caso cita il venerabile maestro della letteratura argentina, Jorge Luis Borges. “Non era solo un grandissimo scrittore, nei suoi saggi, nei suoi racconti si intravedono con chiarezza i principi della neuroscienza. Ed è una lezione per tutti noi, per testimoniare ancora una volta, che la cultura è molto di più del semplice tecnicismo e dell’accumulazione di dati”.
Detto da uno specialista dei numeri e della loro applicazione pratica, il principio di non rinunciare alla cultura, deve fare riflettere. “Ho sempre cercato di trasmettere ai miei studenti questo principio – confessa il ricercatore siracusano – perché, alla fine, i numeri per essere compresi e comprensibili, devono aiutarci a guardare in faccia la realtà ed a creare coscienza e consapevolezza”.
C’è stato un momento in cui Fortuna ha immaginato che la Sicilia stesse cambiando. Era la stagione rampante di Catania e del suo indotto hi-tech che si lanciava nella sfida globale. “Negli anni 90 c’era la grande speranza di aver risolto il dilemma della occupazione giovanile. Almeno per quella intellettuale, legato al campo della ricerca matematica e dell’hi-tech. Con una grande spinta propulsiva dell’Ateneo, e grazie alla presenza di imprese illuminate come la STM, redigevamo progetti che hanno portato alla creazione d tantissimi posti di lavoro. Eravamo convinti che la Sicilia potesse cambiare. I segnali arrivavano anche dal polo industriale di Siracusa, storicamente legato al settore degli idrocarburi, con il loro carico di inquinamento e danno ambientale. Ci chiedevano interventi per mitigare l’impatto ambientale e per definire delle nuove strategie. Ci siamo illusi. In realtà, pensandoci oggi, tutto si è spento improvvisamente. Coincide con la nascita della Seconda Repubblica. E forse non è un caso”.
Dal 2005 al 2012, poi, Fortuna è stato il preside della Facoltà di Ingegneria a Catania. Con un obiettivo semplice: riportare in aula i tanti giovani che stavano abbandonando i corsi. “Forse quello è stato il miglior progetto compiuto nella mia vita. Avevano ancora quelle stampanti che tiravano fuori i tabulati con i fori laterali sui due lati. Ho chiesto di sapere quanti fossero e chi fossero gli studenti fuori corso. Mi hanno consegnato un tabulato di oltre 30 pagine con quasi cinquecento nominativi di studenti che stavano abbandonando il corso di Laurea. Mi sono attaccato al telefono e li ho chiamati uno ad uno. Sono tornati quasi tutti a studiare ed a completare il corso. E’, senza dubbio, il migliore progetto della mia vita”.
Ma in quale ambito scientifico opera in realtà Luigi Fortuna? Ci vuole un po’ di pazienza per comprendere a fondo. “Una delle mie specializzazioni è la ricerca e lo sviluppo nel settore dei controlli automatici. E’ un campo vastissimo, che in realtà, ognuno di noi, incontra quotidianamente centinaia di volte al giorno in gesti e situazioni di ogni tipo. Dall’aprire un rubinetto dell’acqua, all’accendere l’autovettura, per poi arrivare a procedure sempre più complesse. Ho intrapreso questa strada quasi per caso. Però ho imparato. Perché in fondo c’è una legge che tiene unite tutte le discipline dell’agire umano: sono le leggi della matematica. Anche i sistemi di controllo automatici non si sottraggono ovviamente a questa regola”.
Controllo automatico è un concetto trasversale e complesso, applicabile a ogni attività umana. “Dobbiamo pensare – spiega Fortuna – che il nostro primo obiettivo è che le macchine e i sistemi automatici rendano il lavoro umano meno pericoloso. Qualsiasi sistema deve avere come obiettivo la sicurezza, per poi immaginare di rendere le attività umane meno faticose. Senza dimenticare, che ogni idea da portare avanti deve tenere presente che ogni azione antropica è distruttiva per l’ambiente”.
Ci sono dei limiti, quindi, che non vanno trascurati. Il modello di sviluppo che ci siamo dati, secondo Fortuna, va ripensato. A partire dai comportamenti individuali: “Se ci caliamo nella realtà di oggi, i sistemi di controllo automatico sono diventati estremamente complessi, quasi ridondanti. Il primo risultato da considerare è che le reti infomatiche, i computer che regolano e controllano le nostre vite, sono vicine a una saturazione. Quello che chiamiamo progresso non si può sottrarre alle leggi della fisica. Facciamo crescere l’entropia, come ci spiega la seconda legge della termodinamica. Un vero modello di sviluppo – che abbia veramente a cuore il pianeta e l’ambiente in cui viviamo – deve portarci a ripensare le macchine. Ed a consumare di meno. Faccio un esempio concreto: stiamo trasformando il mondo della moblità, puntando alle energie elettriche. Ma non basterà: bisogna consumare meno energia. In ogni caso, anche se è generata senza emissioni nocive”.
“Un ricercatore deve avere il coraggio di dire che vanno ridimensionate le nostre aspettative in termini di consumi, se vogliamo veramente conservare il pianeta e tutelare la natura. Ancora oggi siamo in tempo per rimediare, per creare dei modelli economici sani, un compendio tra sviluppo sostenibile e tutela dell’ambiente. Un altro esempio rende l’idea: le case dove viviamo, ancora oggi sono estremamente dispersive. Vanno costruite meglio, con più saggezza e parsimonia, energeticamente efficienti. La regola da tenere d’occhio è sempre quella: puntare a ridurre l’entropia. C’è anche un aspetto etico e pratico da considerare, la ricerca deve garantire economia e risorse per tutti e non per pochi. Altrimenti la forbice si allarga, e i pochi che detengono quasi tutte le risorse del pianeta diventeranno sempre più ricchi”.
Sul perché non ci abbiamo pensato prima, Fortuna spiega con chiarezza il paradosso che sta vivendo la ricerca scientifica moderna. “Quella che abbiamo visto letteralmente esplodere è la tecnologia. Che non è direttamente una funzione della ricerca. O meglio, parliamo del metodo. Da oltre quaranta anni la ricerca della matematica pura è sostanzialmente ferma. I progressi in campo tecnologico sono stati compiuti sulla base di scoperte matematiche compiute tanto tempo fa. Progressivamente abbiamo abbandonato il metodo, la ricerca pura. Piuttosto che affrontare i tanti problemi ancora irrisolti in campo matematica, si è deciso di utilizzare delle scorciatoie. Ci siamo affidati al calcolo dei computer. Che non risolvono i problemi ma offrono delle alternative per raggiungere, in modo diverso, più o meno lo stesso obiettivo. Insomma, stiamo dimenticando la ricerca di base per affidarci alle macchine ed alla loro routine. Questo non è progresso”.
Per Fortuna, dunque, serve ”un cambio di paradigma”: “Se continuiamo a cercare di risolvere i problemi mettendo accanto batterie di computer su computer, alla fine dimenticheremo i metodi classici di ricerca, quelli su cui si basa veramente la scienza. Le conseguenze di questa scelta, sono già davanti a noi: molto spesso chiedo ai miei studenti di mettere da parte pc e tablet e lavorare con carta e penna. Sono in tanti a non essere più in grado di scrivere correttamente e comprensibilmente. Ed infine, questo mio appello a ripartire dalla base, non significa in alcun modo bloccare l’economia e il progresso. Anzi, è proprio lavorando per riformare le coscienze che possiamo garantire un futuro alle prossime generazioni. Lo so, è un percorso difficile”.
Il futuro non aspetta, ci ha spiegato Luigi Fortuna. Che ha promesso a sé stesso un futuro da falegname. “Quando smetterò di fare ricerca, c’è già un banco da falegname pronto.”