La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino vince l’Oscar per il miglior film straniero. Il riconoscimento, ritenuto il più prestigioso a livello mondiale, torna a un uomo nato a Sud dopo ben 22 anni dal 1992, quando fu il napoletano Gabriele Salvatores, con Mediterraneo a vincere la statuetta per il miglior film straniero. Due anni prima, nel 1990, l’oscar era andato invece al siciliano Giuseppe Tornatore per Nuovo Cinema Paradiso. Poi più nulla.
Dunque è vittoria, ancora, finalmente. E Paolo Sorrentino dal palco del Kodak Theatre dice “grazie alle fonti di ispirazione: Heads, Fellini, Scorsese e Diego Maradona. Grazie a Napoli e grazie a Roma e alla mia personale grande bellezza, Daniela, e i nostri due figli”. Prende la statuetta con a fianco un raggiante Tony Servillo, protagonista del film, e se ne va.
Su twitter qualcuno – perché è chiaro, non tutti possono capire – si indigna per la citazione di Maradona, anche se per la maggior parte dei commentatori si tratta di una vittoria di Napoli, una vittoria del Sud (e per molti, come è tristemente ovvio, di una vittoria dell’Italia).
Per noi invece la vittoria di Paolo Sorrentino è proprio la vittoria di Napoli, senza se e senza ma, di quella Napoli capace di diventare internazionale facendosi le ossa a casa propria. E che ce l’abbia nel sangue e nel cuore la città dove è nato, che ce l’abbia sempre, è chiaro e naturale se sei napoletano e conosci la tua città e i suoi film: perché Sorrentino di Napoli è figlio. E per questo non può non ricordare Maradona e quegli anni: è di una generazione che era ragazzina quando questa città festeggiava, nell’illusione incosciente degli anni Ottanta, i suoi scudetti. Un momento magico per chi l’ha vissuto, ancor di più per chi era ragazzino allora.
Noi siamo sicuri che Paolo Sorrentino non abbia dimenticato mai Napoli semplicemente perché Napoli è sempre stata nei suoi film, anche dove non è mai citata. La si riconosce, da qualche parte, la si avverte sempre, anche nel mare evocato ne “La grande Bellezza”. E infatti il grazie arriva anche per la sua città, là, da Hollywood.
Non avevamo dubbi.
Sorrentino ha compiuto a Napoli i suoi primi passi, negli anni bassoliniani dove si respirava di tutto, certo, tranne che il silenzio che ieri notte ha avvolto la città di oggi, quella del lungomare bello e vuoto di idee – incapace di celebrare un suo figlio che ha conquistato mezzo mondo, non solo gli americani – vincendo premi ovunque con il suo film.
Qui, nella Napoli di 20 anni fa, Paolo Sorrentino invece si è formato: dalle sceneggiature della napoletanissima soap Un Posto al Sole, che in quegli anni girava le sue prime puntate, ha iniziato la sua carriera di scrittore e regista, attorniandosi via via di tante valide maestranze che in molti casi sempre qui, a Napoli, si sono fatte le ossa, in quel periodo in cui ai premi internazionali, certo non a questi livelli, partecipavano registi come Mario Martone, Pappi Corsicato, Antonio Capuano. Tutti napoletani.
Anni che già vedevano protagonista il suo alter-ego attore, Tony Servillo che a Napoli, con Teatri Uniti – i primi film di cui è stato protagonista erano diretti proprio da Martone – è diventato l’attore icona che è, maschera cinica e melanconica di questi tempi. Celebrato poi in tutto il mondo, anche teatrale.
Napoli adesso ha il dovere di celebrare questi suoi due figli. Anche ricordando un’epoca non lontana, probabilmente quella che credevamo “l’ultima era creativa”, cosa che Sorrentino ha smentito con il lavoro di questi anni.
E se anche domani non cambierà molto per la città, stanotte lasciateci sognare una Napoli migliore. Spensierata, felice, senza angosce, come quel giorno in cui Maradona vinse lo scudetto. Ed eravamo giovani anche noi. Grazie Paolo.