Renzo di Quelli della notte torna con la sua compagnia di giro in tv e raccoglie un grande successo. Condivido con lui tante cose, anche il jazz che fu un dopo nella musica e nelle canzoni. Dopo senza buttare via il prima.
Se c’è una qualità in Renzo, e ce ne sono, la migliore è che non è uno snob, non è un intellettuale, è un musicista alto e con un gran naso, sa annusare e ha saputo annusare toujours.
Ha capito molto o tutto per salute naturale, in mezzo alle masse e ai padroni che capiscono solo lo specchio del letame. Cosa ha capito? Che l’ Italia con le tv dei padroni del gusto e del disgusto ci stava e ci sta rovinando di brutto.
Che l’Italia stava tagliando e sta tagliando i ponti con le tradizioni più belle del nostro Novecento, ovvero le voci, i suoni, le smorfie e le farse, l’intelligenza profonda, e le parole poche. Una rovina a cui tutti hanno collaborato e contribuito.
Si ride poco e male (Totò seduce sempre, l’antan dura, funziona); i cantautori sono finiti o sfiniti; il teatro è in genere una palla pallosa e presuntuosa; il cinema è un gargarismo tra pochi e a volte nemmeno pochi, produttori incapaci, affaristi da nulla, ambiziosi e presuntuosi da sempre. Lo Stato ci ha messo la zampino, e lo zampone finanziando a getto pericoloso i vari raccomandati d’area o delle loro parti politiche.
Il pubblico va poco e sempre più malvolentieri a vedere qualcosa di cui mezz’ora dopo non si ricorda. Rottamazione a pioggia e per via rincoglionimento. Arbore resiste e vince ancora perché è la maschera della ironia leggera ma con fondo; perché gli piacciono gli sradicati e coloro che fanno benissimo i dementi ma sono prof del dubbio e della diversità; rivoluzione linguistica, olfattiva (intorno troppi cattivi odori).
Mentre non sta in piedi un partito. Mentre non si legge un libro vero. Mentre continua la catastrofe di risse e di strofe trionfaliste. Ecco, mentre accade tutto questo, Renzo sorride in mezzo alla sua compagnia di geni bislacchi senza vergogna.
La nostra buona fede, s’incontra con la sua.
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