Maria Stella Rossi ha la pazienza di un entomologo che attende il pulsare del termitaio. Così gli oggetti le sfilano davanti con il loro lucore celeste e con uno strato spesso di terra.
La sua scrittura asciutta ed essenziale s’immerge nella letteratura, proprio perché sa evitare ogni finzione letteraria. Si impregna della vita e la scruta con la lente di un certosino.
In apparenza la prospettiva neo-positivista adottata dall’autrice può sottendere un atteggiamento di distacco, proprio di chi osserva il magma da un’altana privilegiata e di quel fluire della vita raccoglie il soffio dell’eco. Ma non è così. Prima di scansionare gli oggetti l’autrice li ha auscultati, prima di attraversarli si è fatta attraversare. Oggetti che sono le lacrime delle cose.
La Rossi scandaglia il fondo del pozzo perché quel pozzo l’ha abitata. Conosce le sue stanze, sa il suo silenzio, si è calata nelle sue grida.
Le lacrime delle cose, dicevo. L’altalena, la bava da asciugare, la sedia a rotelle, la bilancia, la gabbia, i capelli lucenti, la radice resiliente, sono scorie di sale sedimentate che l’autrice non può – e non vuole – più scrostare. Se c’è stato un danno, uno scarto, è un dato di fatto che ormai si può solamente constatare. E Maria Stella Rossi lo fa, con la grazia di chi vibra dinanzi al mistero doloroso di ogni tenue fibra dell’universo.
Gli oggetti stanno lì a testimoniare la sacralità della vita, in ogni sua forma. Non hanno perso la Parola. Non parlano perché la Parola è sacra, così come la vita. Così come la Poesia. Essa è un’epifania. Non si dà a folate ma a grani. La Parola è il logos e il logos è presso Dio.
Gli oggetti hanno un proprio linguaggio remoto ed arcano che è da sempre, fin dal principio. Essi sono la Parola stessa che non si dice – che non dice di sé – e che non è detta. Si può solo attendere ad occhi bassi, persistere nell’interrogarli seppure con l’incertezza di ottenere una risposta. E l’autrice ne è consapevole. Ma persiste nell’evocarli. Sola, mentre tutt’intorno gli oggetti vengono trasformati in feticci. Sola, con le stimmate di Cassandra.
(di Valentino Campo)