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Il “Gioco Pericoloso” di Bari

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Difficile attribuire il sesso a una città. Se si dovesse farlo per Bari non ci sono dubbi: è femmina. Femmina all’anagrafe della Storia, nubile allo stato civile della Puglia, separata nello stato di famiglia di un Paese intero, l’Italia. Perché Bari è solo Bari, una cosa a sé nella Republica italiana. E se proprio un coniugio ideale le si vuole attribuire è oltralpe, con Parì. Sì la Parigi che fa rima con Barì, perché noi c’abbiamo avuto Giacchino Murat a metter il centro cittadino in riga e loro il Barone Georges-Eugène Haussmann. Squadrate, razionali, le vie della “città nuova”, un raziocinio urbanistico che ha per contraltare un’estemporaneità comportamentale della gens barese che rasenta la migliore e più sfaccettata follia.

E se a questa femmina di Bari vogliamo dare un viso, un corpo, un carattere, una condizione esistenziale e un cognome, bene: sono quelli del commissario Lobosco, l’alter ego letterario della scrittrice autoctona Gabriella Genisi.

La Lobosco, come si dice da noi, di nome “fa” Lolita. E pure qui ci si può dilettare a scavare nel nomen omen del personaggio di Nabokov che la Genisi ha scelto per la sua commissaria: una bomba di seduzione, morbida nelle forme e spigolosa nel carattere, un crogiuolo di contraddizioni come la sua amata Bari. D’altronde il romanzo dello scrittore, saggista, critico letterario, drammaturgo e poeta russo, fu pubblicato per la prima volta nel 1955 proprio in Francia. Che la Genisi nutra amore scellerato per Parigi è noto e che questo amore lo abbia riversato in Lolita è fuori di dubbio.

A sparigliare carte e contesti geografici e urbanistici è la ‘napoletaneità’ di Lolita, una originaria traccia familiare per via paterna che ritorna spesso anche nelle pagine di “Gioco Pericoloso” (Sonzogno), il quarto romanzo della saga lolitiana, uscito in questi giorni. Quasi a conservare in tutte le sue contraddizioni di donna del Sud una parte dell’antagonismo storico fra la capitale del Regno e il capoluogo Bari, che fra le tante cose è stata anche per circa un quarto di secolo, dal 847 e il 871, un Emirato. L’araba Bari contro la grandeur regale di Napoli, rivendicazioni storiche di primati tutt’ora contesi anche nell’economia, che fanno a pugni per poi ricomporsi nel carattere di Lolita. Resta il fatto che la Bari moderna, che da poco ha tagliato il traguardo dei 200 anni, nasce per volontà di un francese Re di Napoli, che  del borgo nuovo pose la prima pietra, a ridosso dell’antica città medievale.

Ed ecco che tutto torna. E fa della spumeggiante Lolita, amante dei baci alla napoletana come della focaccia barese, la quadratura del cerchio.

Ma torniamo alla femmina. A quella Bari che Gabriella Genisi ci racconta attraverso le fantastiche avventure “questurine” e affettive di Lolita Lobosco. “Gioco Pericoloso” – dopo “La circonferenza delle arance”, Giallo Ciliegia” e “Uva Noir” sempre per Sonzogno – mette le mani su una città buttata definitivamente nel pallone dall’inchiesta sul calcioscommesse.

È la cronaca triste, sdrammatizzata dall’ironia dell’autrice nel dipingere i vari personaggi che la popolano e dai costanti colpi di scena, di un giro di scommesse sui risultati delle partite, di calciatori prezzolati ma soprattutto di tutto in mondo di insospettabili insieme a malavitosi conclamati che, nell’anonimato, muove le pedine. Nella realtà abbiamo conosciuto la storia, non meno triste, di ultras che hanno svenduto i sani valori della tifoseria per ragioni di portafoglio, e di un goleador che finisce per optare per la porta della sua stessa squadra, determinandone la retrocessione.

Il che è come immaginare Nicky Lauda, all’epoca, rallentare al traguardo per far  vincere James Hunt.

La scrittrice, ispirata sì dal fattaccio vero, ci mette di suo cambiando le carte e creando un avvincente intreccio narrativo che alza il coperchio della pentola su qualcosa di molto più grande e ampio, cioè di portata internazionale. Tanto che il procuratore vicario della Federazione Italiana Calcio, dott. Roberto Barnabei, ne parla come di uno “scandalo clamoroso che farà impallidire Calciopoli del 2006” e i due casi di scommesse clandestine del 1980 e del 1986.

Nel “pastone” genisiano, che fa da quinta onnipresente al caso giudiziario, c’è tutto: i luoghi della città che sono ormai i connotati della prosperosa “femmina Bari”, l’idioma locale che ammansisce le parole e trasforma Cavour in Càvur e che ha reso lo stile della Genisi materia di studio universitario; la ‘gola’, perché Bari è “cannaruta”, cioè golosa all’inverosimile, con la cucina elevata ad altare e i piatti tipici, dalla preparazione alla mangiata finale, vere e proprie celebrazioni, e la complicità, sugli spalti dello stadio-astronave, come sulla tavola, dell’onnipresente Peroni, la birra per eccellenza, femmina anch’essa, sempre gustata alla canna.

E a Bari se la cucina unisce la cucina può anche dividere. Cosi come capita al commissario Lolita Lobosco che va in crisi con il suo amato Giovannimio, il pm bellissimo di cui è innamorata, per colpa di un piatto, le melanzane destrutturate ai quattro colori. Ebbene lui la invita a cena, a casa, e gliele propina. Un tradimento il suo che comincia ai fornelli, prima ancora che in tribunale con la gip Sabrina Sallusti. Perché per Lolita melanzane fanno rima solo con parmigiane.

Insomma il pretesto del precipizio affettivo sta tutto in quello che la commissaria, “nature” nelle uscite come sempre, definisce un paté per gatti e Giovanni se la lega al dito, pur sapendo di aver ben altro da farsi perdonare.

Ed è così che l’intreccio narrativo, avviato una domenica pomeriggio di maggio, allo Stadio San Nicola, si inizia a comporre, e tessera dopo tessere il ‘giallo rosa’ in perfetto stile Genisi viene abbozzato fra le pagine. La scrittrice conduce per mano il lettore, come un Virgilio in gonnella e scollatura generosa, in tutti i gironi dell’animo barese,  svelandone i topoi umani, dal “biondo Bari” delle donne della città agli appuntamenti mondani cosi tipici di questa parte di sud da meritarsi la denominazione d’origine. E fra gli appuntamenti mondani non stupisce affatto che la Genisi ci metta anche i funerali,  “le migliori occasioni per rafforzare contatti e stringere alleanze”. Come una prima a teatro, aggiunge lei, “perché il dolore e la lirica uniscono, si sa”.

A Bari il “teatrino” inizia la mattina e finisce la sera, perché Bari è femmina esibizionista e a Bari ogni tanto bruciano pure i teatri, oltre a farsi gli autogol, e ancora una volta il cerchio si chiude nella più totale irrazionalità autolesionistica, che rasenta il masochismo. E poi c’è l’alta borghesia, che più “piccola” non si può, e  che in questo romanzo prende il nome di Vittorio Lamuraglia, il commercialista di cui tutti dicono un gran bene, ma sussurrano un gran male, l’insospettabile amico di gioventù di Lolita, investito e ammazzato dal camion della spazzatura. Perché Bari come tutte le femmine è spesso anche pettegola.

Ma Lolita la ama questa Bari, e anche più di ‘Giovannimio’, a Bari è nata e a Bari dice di voler morire, “perché la baresità è uno stato mentale”. Una condizione che ti fa sentire impunita come impunite si sentono le bellezze francesi quando camminano”. Ed ecco tornare il legame, il filo che unisce Barì a Parì e che l’occhio sogna sul nostro lungomare, i cui lampioni fanno rivivere l’emozione delle passeggiate sul “LungoSenna”.

C’è poco di assennato, e molto di becero, invece, nella scelta di un calciatore che si vende l’autogol, come anche di quello che, suo malgrado, stramazza sul prato, apparentemente colpito da un infarto, e con la città che elabora troppo presto il lutto grazie al pareggio che riconferma la serie A.

Come anche a Bari può capitare in un romanzo che quella stessa giustizia che ha inflitto importantissimi colpi alla malavita venga sedotta dal guadagno facile, tradendo la sua funzione originale e diventando ingiusta ben oltre l’ossimoro, come la gip Sabrina Sallusti in “Gioco Pericoloso”.

Ma questa è Bari, non c’è nulla da fare, la amiamo così e se fosse persona sarebbe femmina, e quindi nomen omen, ginepraio di gioie e dolori, contraddizioni che si compongono nell’immagine da cartolina del lungomare fascista – “mi sembra Chicago, ne ha pure la straordinaria luce”, mi disse un giorno nientemeno che Jeremy Rifkin – come in una tiella di patate riso e cozze.

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Published by
Chicca Maralfa