La fotografia come “documento storico“, perché “ha a che fare con la memoria“. Ferdinando Scianna, uno dei più importanti fotoreporter italiani, racconta in una videointervista al portale della Farnesina (esteri.it) il suo mestiere lungo 50 anni, che dalla Sicilia lo ha condotto alla ribalta internazionale, diventando il primo italiano ad entrare nell’agenzia americana Magnum, e che ora lo porta in giro per il mondo a promuovere la fotografia italiana all’estero.
Scianna ad aprile è stato chiamato dall’Istituto Italiano di Cultura in Albania per inaugurare ‘I giorni della fotografia italiana a Tirana‘, grazie al suo famoso reportage nel 1984, in cui – tra i primi in assoluto – fece conoscere al mondo questo piccolo paese balcanico, allora di 85.000 abitanti, in pieno regime comunista: “Non avrei immaginato – racconta – che quelle poche foto scattate in condizioni difficili e un po’ avventurose diventassero così importanti, tanto da essere definite l’unico documento di uno sguardo esterno sull’Albania di quell’epoca. E mi ha fatto riflettere sul fatto che il valore della fotografia risiede nell’essere un documento“.
La fotografia per questo siciliano classe 1943 è stato un modo per fuggire, anche se la sua terra è sempre presente nell’anima dei suoi scatti. E se oggi “i fotografi sono più cosmopoliti, quelli migliori restano legati al territorio“, sottolinea Scianna, che ha iniziato dalle coinvolgenti feste religiose siciliane per prendere poi il volo verso le metropoli americane e asiatiche, scegliendo anche di interpretare con sguardo ironico il mondo della moda e della pubblicità.
Il futuro della fotografia, con l’avvento del digitale, si fa più incerto, ma il suo contributo resta fondamentale, assicura Scianna. Pensiamo soltanto ai fotoreporter di guerra: “Un tempo morivano perché si trovavano lì, in mezzo al fuoco, oggi invece muoiono proprio in quanto fotografi, perché la storia recente ha fatto capire ai governi che con una fotografia si possono anche perdere le guerre“
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