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Il cervello dello Svimez fuggito dalla giunta Crocetta: “Stritolato dalle logiche di potere”
17 Apr 2014 07:39

Luca Bianchi, economista di razza e meridionalista per vocazione, vicedirettore della Svimez, non si sente sconfitto. E’ uscito, sbattendo la porta, dalla giunta Crocetta: sedeva sulla poltrona più scomoda, quella dell’assessore al Bilancio. E le difficoltà non sono finite neanche ora che il Governatore ha rimescolato le carte con una giunta bis. Questo è il racconto di sedici mesi di battaglie vinte e perse, di tranelli e di trappole nel pantano della politica e dei partiti locali. In una parola, del suo “Vietnam” personale in terra siciliana.

“Dico subito che non sono affatto pentito. E’ stata un’esperienza importante. La rifarei senza esitazioni. Quando sono arrivato i bilanci della Regione erano in uno stato catastrofico. Il rating era crollato, l’ex governatore, Raffaele Lombardo, era stato convocato da Monti a Palazzo Chigi, si temeva il default, come fossimo in Grecia. Bisognava risanare e Crocetta ha pensato di chiamare un tecnico esterno, libero da condizionamenti e pressioni. Ed effettivamente, all’inizio, le cose sembravano andare bene. Sono arrivati anche i primi risultati”.

Luca Bianchi snocciola numeri che ha ormai imparato a memoria: nel 2012 il deficit era di oltre 1 miliardo, nel 2013 i conti hanno registrato un avanzo primario di 150 milioni. Abbiamo ridotto di 800 milioni la spesa corrente e risparmiato drasticamente sui costi di funzionamento. Negli ultimi bollettini le agenzie di rating danno un netto miglioramento delle aspettative: da negative sono diventate stabili”.

Dietro questi numeri ci sono interventi dolorosi ma non è detto che spending review si traduca sempre con “macelleria sociale”. “Di grasso da tagliare ce n’era tanto”. Del resto che ci sanno 22mila forestali in una regione che ha un paio di montagne e qualche picco? “Siamo intervenuti riducendo di 60 milioni i costi in questo settore: abbiamo ridimensionato le indennità di trasferimento, ad esempio, e siglato convenzioni con siti archeologici e per la gestione delle aree verdi di strutture pubbliche. Il risultato è che finalmente i forestali avevano qualcosa da fare ed erano soddisfatti di aver contribuito a ripulire aree di importante valore artistico e culturale”. Ma l’elenco della sprecopoli siciliana è l’insieme di una lunga e pesante eredità, fatta di gestione del consenso attraverso la leva della spesa pubblica.

“C’erano 20 società partecipate che negli ultimi anni avevano praticamente raddoppiato gli organici, un esercito di ottomila dipendenti. Qui il blocco dei turn over è stato effettivamente una parola vuota. Fra addetti diretti e indiretti si calcola che la Regione dà lavoro a 100mila persone. Un peso insostenibile”. Nell’organico anche lavoratori precari con redditi da supermanager e falsi disoccupati con guadagni milionari. “Non abbiamo licenziato nessuno ma siamo intervenuti con il bisturi. Il risultato è che il numero delle partecipate è stato più che dimezzato. E abbiamo cominciato a mettere ordine nei conti”.

Poi, però, qualcosa si è rotto. Anzi, più di qualcosa. “Abbiamo intaccato i grossi interessi consolidati all’ombra dei partiti e del blocco sociale che governa l’isola. Non c’è stato nulla da fare. Il cammino delle riforme si è interrotto. L’avevo detto fin dall’inizio: i tempi della politica non coincidono con quelli dell’economia. La giunta si è trovata in un pantano ed è cominciato un vero e proprio stillicidio nei miei confronti. Tutti i provvedimenti che portavo in giunta venivano, puntualmente, stoppati”.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il no all’ultimo provvedimento, quello che sbloccava i debiti che la Regione aveva con le aziende. “Era un obbligo, tutte le altre regioni avevano seguito la stessa strada: l’apertura di un mutuo con la Cassa depositi e prestiti da restituire in 20 anni con un tasso del 3%. Molto meno degli interessi di mora, pari all’8%, che sono già oggi a carico dell’amministrazione. Con il provvedimento avremmo iniettato liquidità all’economia e risparmiato anche qualcosa”. Ma non c’è stato nulla da fare. Perfino gli industriali si sono messi di traverso. “Non hanno letto il provvedimento, hanno parlato di aumento delle tasse, altri hanno sparato sul nuovo mutuo a carico delle generazioni future. Ma sono stati attacchi strumentali”.

Giorno dopo giorno, attorno a Luca Bianchi, si è creato il vuoto. Abbandonato anche dal Pd, il partito che lo aveva sostenuto. E è cominciata una ridda di voci e di sospetti. “C’era anche chi scommetteva che per me era  pronto un nuovo posto di lavoro a Roma. Ma io non sono un disoccupato. La verità è che dietro i rinvii c’era solo uno spietato tira e molla fra i partiti in attesa di un accordo sul rimpasto. Non potevo accettare di essere stritolato dai soliti giochi di potere. Nessuno sosteneva più il percorso avviato”. Deluso? “Sì, i partiti non sono riusciti a spezzare i legami con il passato. Anche il Movimento di Grillo non è stato all’altezza, si è dissolto nel momento il cui doveva assumersi le responsabilità”.

Ma non è stato tutto inutile. “Lascio un bilancio in ordine al mio successore, sicuramente migliore rispetto a quello che ho trovato. E poi ho conosciuto persone preparate e competenti, imprenditori eccezionali, tanti giovani che hanno bisogno di risposte e non possono sempre essere superati da tutti coloro che, in passato, hanno accumulato privilegi e rendite di posizione. Non credo a interpretazioni antropologiche: la Sicilia, come tutto il Sud, ha le potenzialità per ripartire. Serve uno scatto della classe dirigente e non la derive, un po’ demagogiche, di chi invoca la fine delle Regioni o la nascita delle macro-regioni. Ho paura che questo ennesimo dibattito serva solo a creare fumo e a non realizzare quelle riforme strutturali che servono al Mezzogiorno”.


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