Lavoro: chi fa da sé fa per tre. Soprattutto i giovani. Mentre a Roma si riunisce il G4 dei ministri del Lavoro e dell’Economia dei Paesi europei, per approvare, come dice il presidente del Consiglio Enrico Letta “in fretta” misure sull’occupazione, prima del vertice europeo di fine mese, i giovani confermano di essere la vera ricchezza del Paese. Ed in particolare quelli del Sud, nonostante gli ostacoli, noti e diffusi all’auto-imprenditorialità: dalle lentezze della burocrazia al credit crunch, dal cuneo fiscale alla insopportabile tassazione sulle attività d’impresa, intorno al 44% secondo Confartigianato.
In vetta alla classifica per il valore aggiunto prodotto dalla componente giovanile sul totale regionale (21,3%) c’è la Puglia, che contribuisce così a consegnare al Mezzogiorno il primato della maggiore incidenza della ricchezza prodotta dalle giovani generazioni.
È quanto emerge dallo specifico focus realizzato per la prima volta da Unioncamere e presentato in occasione della 137ª Assemblea dei Presidenti delle Camere di commercio italiane, coincidente con la 11.a giornata dell’Economia.
Dopo la Puglia il Trentino Alto Adige (20,4%), l’Umbria (17,9%), la Calabria (17,8%), il Veneto (17,7%) e la Lombardia (17,5%). Quest’ultima, tuttavia, in termini assoluti, concentra oltre un quinto (21,8%) del totale del prodotto nazionale derivante dall’occupazione giovanile.
A contribuire maggiormente alla formazione della ricchezza prodotta dai giovani è la componente dei lavoratori dipendenti, cui si deve il 71% del valore aggiunto contro il 29% derivante da quella indipendente. Quest’ultima è particolarmente consistente però nel Mezzogiorno (33,6%), con valori massimi in Calabria (40%) e Molise (38,1%), quindi Toscana (34,5%), Campania (34,4%) e Sicilia (34,3%). Le regioni in cui è invece più elevato il contributo della componente dipendente sono la Lombardia (26,9%), l’Emilia Romagna (26,0%), il Friuli-Venezia Giulia (23,2%), il Veneto (23,0%) e il Trentino-Alto Adige (18,9%).
Il valore aggiunto prodotto dall’occupazione giovanile si ripartisce per oltre tre quarti nel terziario, per il 22,4% nel settore industriale e per l’1,7% nell’agricoltura. Costruzioni (22,8%), terziario nel suo complesso (17,8%), e, al suo interno, il commercio (21,2%) gli ambiti nei quali il lavoro dei giovani incide di più sul totale dei singoli settori. Minore, ma pur sempre rilevante, l’apporto fornito al manifatturiero (13,3%) e all’agricoltura (14,6%).
Oltre 242 miliardi di euro pari al 17,2% del totale. A tanto ammonta il valore aggiunto prodotto dagli oltre 3,8 milioni di giovani occupati in Italia. Un dato rilevante che equivale all’apporto dell’intero comparto manifatturiero nazionale.
Una parte significativa del valore aggiunto dei giovani proviene dalle 675mila imprese di under 35. Nello scorso anno hanno raggiunto quota 70mila, il 10% del 2011. Altre 100mila imprese potrebbero nascere per iniziativa giovanile. A fine 2012 nel nostro Paese 1,4 milioni di giovani tra i 15 e i 34 anni erano disoccupati e un altro milione e 200mila rientrano nella categoria degli “scoraggiati” che attendono solo l’occasione per mettersi sul mercato.
Indispensabili quindi le azioni governative: strumenti di finanza dedicata (venture capital, microcredito, crowd funding per le iniziative più piccole), opportuni percorsi di crescita e formazione nel campo, ad esempio, della cultura manageriale, delle competenze sull’impresa e sul lavoro, dell’apprendimento e applicazione delle tecnologie (anche in chiave green), dell’internazionalizzazione.
Notizia curiosa che emerge dalla ricerca e che conferma un trend ormai consolidato è la larga diffusione di imprese femminili, 188mila, il 27,8% del totale delle imprese guidate da under 35; 123mila le imprese straniere, il 18,2% del totale dell’imprenditoria giovanile.
Un terzo delle imprese giovani è artigiano e 13mila sono le imprese cooperative giovani.