Un progetto per rafforzare la resilienza nella riqualificazione urbana delle favelas di Florianópolis, nello Stato di Santa Catarina, in Brasile.
A promuoverlo da alcuni anni è il Dipartimento di Architettura dell’Università di Chieti-Pescara, ed è coordinato da Carlo Pozzi e da Valter Fabietti. L’attività è stata avviata in collaborazione con La Escola da Cidade di San Paolo Brasile e le comunità delle favelas di Florianópolis , ed affronta i diversi temi della riqualificazione nelle parti più marginali delle città (favelas, slums, township, bidonvilles): realizzazione di infrastrutture, servizi, spazi pubblici, ma anche protezione dai rischi idrogeologici, dovuti prevalentemente alle impervie condizione dei suoli su cui sono poggiati questi insediamenti.
Ma cos’è la resilienza urbana e come può essere applicata anche alla rigenerazione delle città italiane? La resilienza è oggi una componente necessaria per lo sviluppo sostenibile, agendo prima di tutto sui modelli organizzativi e gestionali dei sistemi urbani, e sembra rappresentare, per l’urgenza di mettere in sicurezza le città e i territori, la maturazione del concetto stesso di sostenibilità.
Preso in prestito dall’informatica e dalla psicologia per indicare comportamenti che integrano bene la capacità di adattamento e la disponibilità alla trasformazione in risposta ad eventi dirompenti o traumatici, da una decina di anni il termine è entrato nel lessico comune anche degli urbanisti, che individuano proprio nella capacità di continuare ad esistere, incorporando il cambiamento, uno dei principali indicatori per segnare la ripresa di una comunità, toccata da stravolgimenti significativi, come nel caso de L’Aquila dopo il terremoto del 2009, o della più recente alluvione che ha piegato una parte della Sardegna e delle Marche.
Una città sostenibile è quindi una città resiliente, che produce opportunità economiche significative come dimostrano gli esempi di altri Paesi europei, che hanno investito sullo sviluppo di una strategia nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici e alla resilienza. La Danimarca, la Spagna, la Gran Bretagna, infatti, vedono oggi le proprie aziende leader nel mercato dell’acqua, delle infrastrutture verdi e delle tecnologie per le smart cities. In Italia abbiamo già perso il treno della green economy per mancanza di programmazione e stiamo perdendo anche quello dell’economia dell’adattamento e della trasformazione resiliente del nostro sistema socio-economico, malgrado le richieste del World Economic Forum e della Commissione UE (Libro Bianco del 2009), che ha destinato al tema dell’efficientamento energetico risorse significative (“Patto dei Sindaci”, “Rete rurale nazionale”, “Smart cities“, “european green capital”). Attualmente solo 11 Paesi membri hanno realizzato una strategia nazionale per l’adattamento, mentre gli altri – tra cui l’Italia – si trovano a stadi diversi di preparazione e sviluppo.
Le buone pratiche in Italia
La vulnerabilità dei territori e il peggioramento del comfort climatico sono i due fronti di intervento sui quali bisognerebbe intervenire con urgenza per rendere resilienti le città italiane. Anche nell’area Mediterranea, infatti, il riscaldamento globale colpisce in vari modi, in particolare con eventi estremi. Siccità, tempeste, forti precipitazioni accentuano la fragilità idrogeologica del territorio italiano, moltiplicandone le conseguenze. Inoltre la diffusione e lo sviluppo urbanistico di molti insediamenti storici in aree instabili (per frane ed esondazioni soprattutto) causano ulteriori pericoli. Le ridotte precipitazioni creano inoltre problemi di approvvigionamento idrico, non solo nel periodo estivo.
Esistono, tuttavia, anche nel nostro Paese delle buone pratiche già attive sul territorio nazionale, come la riqualificazione ad opera del comune di Ancona dell’area di PortoNovo; Torino si è distinta con l’organizzazione dei contratti di quartiere, strumenti di intervento finalizzati al recupero di quartieri segnati da un diffuso degrado fisico e ambientale. Bologna, inoltre, sta lavorando per definire proprie strategie di adattamento impegnandosi nella risoluzione di problematiche quali le ondate di calore. La città emiliana sta lavorando alla costruzione di una città resiliente grazie al progetto comunitario BLUE AP, con cui predisporrà un Piano di adattamento coinvolgendo cittadini e stakeholder del proprio territorio di riferimento. A Trento le residenze Le Albere progettate da Renzo Piano si sono caratterizzate per un nuovo tipo di approccio di sostenibilità integrato con la città e non solo legati al singolo edificio. Faenza, poi, ha introdotto con il Piano Regolatore del 1998 i criteri di sostenibilità ambientale nella realizzazione di nuove costruzioni, con premi volumetrici a quegli edifici che privilegiano il risparmio di energetico, la produzione di energia solare, il recupero delle acque, i tetti giardino, ottenendo così la progettazione di quartieri a bassissimo consumo energetico. L’esperienza del Patto dei Sindaci, infine, ha prodotto risultati interessanti soprattutto perché ha obbligato le amministrazioni locali italiane a lavorare in un’ottica di cluster omogenei, anche se a macchia di leopardo.
Tabella
I Comuni italiani a rischio idrogeologico
Regione | Comuni a rischio | % Comuni a rischio |
Calabria | 409 | 100 |
Provincia Autonoma di Trento | 222 | 100 |
Molise | 136 | 100 |
Basilicata | 131 | 100 |
Umbria | 92 | 100 |
Valle D’Aosta | 74 | 100 |
Marche | 239 | 99 |
Liguria | 232 | 99 |
Lazio | 372 | 98 |
Toscana | 280 | 98 |
Piemonte | 1049 | 87 |
Abruzzo | 294 | 96 |
Emilia Romagna | 313 | 95 |
Campania | 504 | 92 |
Friuli Venezia Giulia | 201 | 92 |
Sardegna | 306 | 81 |
Puglia | 200 | 78 |
Sicilia | 277 | 71 |
Lombardia | 929 | 60 |
Provincia Autonoma di Bolzano | 46 | 59 |
Veneto | 327 | 56 |
Totale | 6633 | 82 |
Fonte: Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio
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