Pino Daniele era il primogenito di sei figli di un portuale napoletano.
Era nato in un “basso” di un vicolo a ridosso del Monastero di Santa Chiara.
Una stradina piccola di notte e che si allargava di giorno per la vita vivace che prendeva forma sui basali di pietra vulcanica.
C’era un salumiere da dove usciva un odore di salsa sfusa venduta nel portone.
Il falegname Don Vittorio ‘o casciaro, e in fondo la casa più’ temuta: quella del prestasoldi, l’usuraio.
Solo Pino Daniele poteva concepire “Napule e’”.
Io ero un arrabbiato del 1977 (come lui) quando m’innamorai di “Terra mia”. La melodia popolare fusa con il blues. Poi vennero le parole.
Lui pazzo per noi che sostenevamo “pazzia è bella”. Sfrontato con quello spinello in bocca e le mani in tasca.
Uno che dice “un ci scassate u cazzo” Ballate per femminielli. La stessa amarezza degli Who quando fuori piove.
Napoli, la capitale del Sud è na carta sporca e nessuno se ne importa.
Il 1977 napoletano ha unito i disoccupati organizzati di Banchi nuovi al blues di Pino Daniele, al cinema rivoluzionario del suo amico Massimo Troisi e al teatro del suo compagno di scuola Beppe Lanzetta.
Pino Daniele, napoletano di Mezzacannone, visse con due “ziette” che avevano cresciuto già la mamma in un elegante palazzo poco distante dal suo basso. Studia da ragioniere, poi si iscrive all’Orientale. Ma poi scopre la strada e la musica.
Musicista autodidatta non immaginava che un giorno a Cava dei Tiirreni avrebbe duettato con Eric Clapton.
Sarà autore, arrangiatore, produttore, qualche volta discografico e chitarrista di tecnica sopraffina.
Per sua ammissione i suoi punti fermi erano Paolo Conte, Ivano Fossati ma anche Sinopoli. In un’intervista ad Ernesto Assante dice: “Io sono Muti, Eduardo, Django Reinhard” .
Che attesa ed emozione quel concerto allo stadio San Vito di Cosenza agl’inizi degli anni Ottanta. Non sembrava vero. Pino Daniele con Tullio De Piscopo, James Senese, Rino Zurzolo, Toni Esposito e lo stadio pieno che per vederlo colmo allo stesso modo bisognerà aspettare Vasco Rossi. L’aria salmastra e dolce della marjuana era quella autoctona calabrese. Musica e calcio avevano sostituito la politica. Toni Esposito un’era prima aveva suonato per i Circoli Ottobre al teatro Rendano in una jam session collettiva che aveva turbato non poche le maschere presenti. In quelle ere lontane di autoriduzione una bottiglia con un foglio di carta incendiata (sorta di molotov taroccata) aveva costretto James Senese a interrompere il concerto di Napoli centrale organizzato dalla Fgci. Nel giro di mesi i cambiamenti erano stati epocali.
Pino Daniele ha collaborato con molti artisti. Alcuni dei grandi sono Wayne Shorter, Richie Heavens, Chick Corea, Salif Keita. Ma ha suonato anche con i 99 Posse al concerto di Piazza San Giovanni. Ha prodotto anche il disco di Leon Vulpitta Pantarei, dotato percussionista di Itaca, e che ha molto da raccontare da quello e altri incontri. Franco Piperno in un’intervista all’Europeo a Ciro Paglia racconta con passione dei musicisti di Ciroma che avevano collaborato con Pino Daniele.
Quando il cuore di Pino inizio’ ad andar di matto so che trovo’ rigenerazione e bella accoglienza in Sila dal musicista Nuccio Intrieri.
In un 11 settembre passato alla Storia Pino Daniele doveva suonare a Cosenza.
Ma il concerto fu annullato per lo sgomento che tutti avevamo preso.
L’estate del 1993 ogni sera andavo in una città diversa per ascoltare un concerto. Avevo un sacco a pelo e dove arrivavo un accredito di “Mucchio Selvaggio”. Avevo un walkmen con cui sentivo ossessivamente “I treni a vapore”. Al ventennale di Umbria jazz, itinerante per l’occasione, mi ero aggregato a Marinella e Giovanna che vendevano icone di legno di grandi jazzisti. A Gubbio aspettavo con trepidazione il concerto di Pino Daniele e dell’adorato Pat Metheny. Il sindaco umbro con ordinanza proibì i beveraggi alcolici. Procurammo tanto di quel vino che vendemmo fino all’ultimo bicchiere. Senti’ solo la musica nel grande piazzale senza vedere neanche un assolo. Brindammo felici a Pino Daniele per aver svoltato il desco di molte serate.
Pino Daniele a tante persone ha dato amore e cultura. Con le parole delle sue canzoni cercava di trovare speranza per andare avanti.
In “Lazzari felici” ha cantato “e intanto passa stu Novicientu”. Gli anni Settanta italiani hanno forgiato grandi bellezze e geometriche potenze.
Pino Daniele non si è mai tinto i capelli, non ha mai cambiato i vestiti per essere alla moda e non è mai stato la sua controfigura da giovane.
Sarebbe invecchiato con molta dignità.
Da tempo cerco il disperso attacco felice di un mio racconto sugli anni Ottanta cosentini in cui il protagonista fa autostop in un sabato d’estate e viene preso da un coetaneo con la Golf. Nello stereo la musicassetta manda brani che mescolano parole napoletane e inglesi con sonorità blues.
“Micidiale sta musica. Chi è che suona?” “Si chiama Pino Daniele. Non sarà un fenomeno passeggero. Questo e’ uno di quelli che resta. Fidati”.
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