Il nostro è un Paese “bloccato”, proprio come l’asino di Buridano, che si lascia morire di fame, incapace di scegliere quale mucchio di paglia mangiare. Questa è oggi l’Italia secondo Francesco Pugliese, amministratore delegato e direttore generale di Conad, uno dei maggiori protagonisti dell’industria nazionale, che, con tono partecipe – a volte disilluso ma sempre brillante – ha raccontato al giornalista Claudio Cerasa, direttore del Foglio, che cosa non va nel nostro Paese. Un affresco che ha dato vita al libro “Tra l’asino e il cane – conversazione sull’Italia che non c’è'”edito da Rizzoli, presentato in questi giorni in diverse città italiane e che poche settimane fa è stato presentato anche a Taranto – città natale di Pugliese – alla libreria Ubik.
Per volontà dell’autore, infatti, tutti i diritti della vendita del libro saranno devoluti in beneficenza proprio alla Caritas tarantina.
Ecco un passaggio tratto dal libro:
Ho una ricerca Nielsen che credo vada la pena di essere citata. È una fotografia molto interessante e ci dice meglio di qualsiasi indagine sociologica come è cambiato il Paese negli ultimi anni, negli anni della crisi.
In generale, ovviamente, si cerca di risparmiare qualcosa, ma i risparmi hanno una matrice e una radice diversa. Vi faccio un rapido elenco.
In tutto il Paese si consuma meno carne rossa. Al Sud se ne consuma ancora meno che al Nord, il 7 per cento in meno rispetto a cinque anni fa, e ora si consuma più carne bianca, il 5 per cento in più, e ancora più i prodotti che possono essere considerati dei sostitutivi della carne: le lenticchie e i fagioli freschi (+5 per cento rispetto al 2010), le uova (+ 4,4 per cento) e soprattutto la soia (il cui consumo è cresciuto del 28 per cento solo nell’ultimo anno).
Stesso discorso per il latte. Il consumo del latte fresco, anche qui soprattutto al Sud, è calato del 13,7 per cento, mentre quello a lunga conservazione è calato, ma un terzo in meno di quello fresco, ovvero solo del 4,8. I prodotti take away hanno registrato un boom incredibile, soprattutto al Nord. In Lombardia i pro- dotti più venduti in termini assoluti sono i salumi preconfezionati, mentre gli affettati take away sono il quarantesimo prodotto più acquistato sugli scaffali dei supermercati. Milano è la capitale dei surgelati: qui si consuma il 65 per cento del mercato italiano di primi piatti congelati.
La mortadella, che costa la metà del prosciutto cotto, pur essendo un prodotto del Nord viene consumata di più al Sud (la media è un acquisto di prosciutto ogni tre di mortadella). I salumi, in generale, sono stati venduti il 4 per cento in meno, mentre quelli in busta il 23,4 per cento in più. Il pesce, pur essendo prevalentemente pescato al Sud, nel Meridione è consumato per lo più sotto for- ma di tonno in scatola.
La pasta è diventato il piatto più consumato sia al Sud (30 chilogrammi l’anno di media) sia al Nord (18 chilogrammi), mentre, per risparmiare, in molte regioni è stato sostituito da altre portate; come la polenta (in Veneto, regione dove mediamente se ne fa più uso, il consumo di pasta è arrivato a essere un terzo di quello del Meridione, 11 chilogrammi cibi sono cresciuti, contro 30 chilogrammi).
In molte categorie di consumi si sono ridotti i prodotti freschi, non solo il latte. L’acquisto del pane ci offre una buona lettura dell’Italia che cambia: negli ultimi cinque anni ne è stato acquistato 1’11 per cento in meno di quello fresco e il 7,9 per cento in più di quello industriale, che dura più a lungo e difficilmente viene sprecato. Il trend si riflette anche in altri campi. Dal 2008 al 2012 l’acqua prelevata per uso potabile è cresciuta in volume superiore a quello registrato nella distribuzione dell’acqua in bottiglia: +1,6 a fronte del -5 per cento di acqua in bottiglia utilizzata per uso domestico.
Specularmente, il risparmio ha fatto emergere altri dati. I contenitori per la conservazione in frigo sono cresciuti del 6 per cento in sei anni. 1 rifiuti pro capite, dal 2008 al 2012,. si sono ridotti del 7,7 . Il 68 per cento degli italiani dichiara di stare attento alle porzioni così da sprecare meno cibo. Il 45 per cento, invece, afferma di cucinare con gli avanzi in frigo. Il 59 per cento ha imparato a dosare meglio gli ingredienti che utilizza per cucinare.
E, più in generale, il fenomeno che ha avuto un impatto nel settore dei consumi, soprattutto per quanto riguarda la ristorazione, è che gli italiani hanno aumentato a dismisura i propri pasti in casa. Nel corso degli ultimi due o tre anni il 65 per cento degli italiani ha diminuito il budget destinato a mangiare fuori casa, contro un ben più contenuto 31 per cento che ha dichiarato di averlo mantenuto stabile e un risicato 4 per cento che, in piena controtendenza, ha affermato di averlo incrementato. Con un mercato che si indebolisce, però, ce n’ è uno che si ingrandisce, quello della casa. Quasi due italiani su tre hanno costantemente ridotto le spese per pasti fuori casa negli ultimi cinque anni. Dal 2010 a oggi, è aumentato del 20 per cento il consumo di pizza surgelata e del’8 per cento quello di birra in bottiglia.
È esploso il mercato delle capsule del caffè, con una crescita del 130 per cento rispetto a cinque anni fa, contestuale al -50 per cento di spesa al bar per il caffè, perché, se non si va più al bar, il bar si sposta a casa. Anche i dolci vengono fatti in casa (+19 per cento la crescita a volume del lievito per dolci, +9,5 le farine, – 7 per cento le merendine negli ultimi cinque anni). Ed è da leggere sotto questa chiave anche il crollo dei prodotti usa e getta da tavola (-9,8 per cento a volume, dal 2010 a oggi, nella distribuzione moderna compresi gli specialisti). Motivo? Si mangia di più a casa ma per risparmiare si sceglie di sporcarsi le mani e di lavare i piatti… Contestualmente negli ultimi cinque anni sono aumentati del 98 per cento i prodotti senza glutine e del 53 per cento i prodotti biologici. Altro fenomeno significativo: abbiamo registrato nuove tendenze per l’alimentazione dei bambini: più allattamento al seno, maggiore autosvezzamento – cioè il salto della fase delle pappe per avvicinare i bambini ai cibi solidi seguendo i loro gusti – e cibi più sani e naturali.
II latte prima formulazione, quello dedicato ai bambini da zero a sei mesi, negli ultimi cinque anni ha registrato una diminuzione del 7 per cento: ed eliminare per sei mesi il latte artificiale significa un risparmio di circa 22,5 euro ogni dieci giorni per ciascuna famiglia. In più, la crisi ha costretto i genitori a mettersi ai fornelli e a comprare meno prodotti per i loro figli: il baby food registra un calo del 13,4 per cento di volume di vendita, i succhi dell’infanzia il 55 per cento. Si fa tutto in casa, sempre di più, e in questi anni persino estetisti e parrucchieri sono stati sostituiti da servizi fai da te (dal 2010 al 2014 i prodotti di depilazione cosmetica sono aumentati dello 0,4 per cento, le lame e i rasoi usa e getta per donna del 3,8 per cento, i coloranti per capelli dell’11,6), e anche le spese per la prevenzione privata sono aumentate (negli ultimi cinque anni sono stati venduti il 5,4 per cento di spazzolini in più, il 46 per cento degli spazzolini elettrici, il 15 per cento in più di colluttori, il 6 per cento in più di filo interdentale).
Ultimi dati, flash. Dal 2008 la prima voce di spesa ad essere sacrificata per salvare il budget familiare dal 65 per cento degli italiani è l’abbigliamento. Un italiano su cinque è disposto a condividere o a prendere in prestito abiti usati, contro il 13 per cento degli spagnoli, il 10 per cento dei francesi e il 6 per cento dei tedeschi. Infine, gli italiani che non usano più l’automobile per salvaguardare il budget familiare sono passati dal 31 per cento del 2010 al 42 per cento del 2014.