Pochi giorni fa è morto un grand’uomo. Si chiamava Luigi Gaito e per me era da tempo don Luigi. Perché al Sud il “don” non è sempre questione di preti e cornuti ma è anche vicenda di grandi uomini. Don Luigi apparteneva a quella generazione che ha edificato il boom economico italiano. Portava con se l’agire prolifico e simpatico dell’Agro nocerino-sarnese oggi banalizzato a male ma giardino del Sud che ha saputo esprimere anche una borghesia non parassitaria ma dinamica e aggrappata a valori identitari. Don Luigi ha peregrinato per molte regioni italiane permettendo il successo di marchi e prodotti che trascinarono fuori l’Italia dalla povertà del dopoguerra al benessere economico delle famiglie. Una vita molto simile a quella di mio suocero nato nella parte superiore di Nocera rispetto a quella inferiore e più celebre di don Luigi che si stabilirà nel corso del tempo a Cosenza. Un uomo di stampo novecentesco, tipicamente meridionale. Ha accompagnato i suoi tre figli con un’attenzione da commedia eduardiana quasi sentisse il dovere di non smarrire mai la sua profonda e meticolosa assistenza in ogni fase, su ogni problema, su qualunque questione.
Scoprì nei pressi di Domanico, Potame, deserta e incredibile nella sua bellezza interna a picco sul mare e contribuì a farne un villaggio. Vi costruì una casa bellissima e ne fece il centro della sua dimensione di riposo esistenziale e mentale. E in quel borgo di riposo diventò una sorta di padre saggio che con altri saggi crearono una comunità che ancora oggi conserva legami forti e duraturi. Era la sua fissazione. Far diventare Potame un centro turistico di una certa rilevanza. Certe ossessioni benefiche appartengono a chi i luoghi li sceglie e non ci nasce. Non fu mai domato da una menomazione fisica affrontandola con la normalità del fare. Alla tavola della sua famiglia gli amici dei suoi figli (c’ero anch’io tra loro) e tutti gli amici e parenti trovavano un punto di ritrovo dove era piacevole perdersi tra le chiacchiere e le facezie collettive che potevano durare lunghe ore passate in minuti. Nel periodo di Natale la sublimazione del cenone borbonico napoletano a casa sua era un trionfo degno di un racconto buono per un maestro del cinema e don Luigi ne era anfitrione e gran cerimoniere.
Fu strabiliante al momento della pensione. L’uomo troppo attivo non poteva sopirsi. Si dedicò alle Pro Loco. Ma a lui una non poteva bastare. Fondò l’Unpli regionale federando questo straordinario mondo di cooperazione sociale e volontariato che ho avuto molte volte il piacere di conoscere e aiutare con il mio lavoro di giornalista. In quelle postazioni di solito si passa alla politica come protagonista o come portatore di voti. Non era per lui e infatti aveva trovato amici della stessa pasta e anima.
Alla fine per me era diventato come un vecchio zio saggio e affettuoso. Al mio arrivo in Basilicata fu il primo che si premurò di crearmi un contatto con i suoi colleghi delle Pro loco che mi furono molto utili per conoscere la mia nuova realtà lavorativa. Il telefono è stato spesso il punto di contatto di vicende liete e amare. Sentivo più lui che il mio fraterno amico Sandro a cui mando un forte abbraccio insieme a suo fratello Luigi (solo don Luigi poteva chiamare il figlio Luigi) alla sorella Giselda. Per la signora Nunzia un pensiero lungo quanto la distanza fisica che ci separa. La sua storia d’amore con il marito è di quelle che a volte leggiamo in qualche libro e pensiamo non possono esistere. Invece quel sentimento esiste e solca i decenni e nei momenti bui diventa muro alla tempesta. Ci sono uomini e donne normali che sanno non essere mai banali con i loro guizzi e i loro ingegni. Aveva fatto molto don Luigi Gaito. Non potendo essergli vicino nel momento del trapasso ho voluto renderlo vivo su un social network su cui trascrivo le parole del poeta che recita: “Voco e ve dico addio, feneste chiare, aperte a ghiuornu e chiuse “int” a controra, addio, lanze, addio rezze ‘e marenare, casa mia, casa mia, te veco ancora“.
Ciao don Luigi.
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