Era un caldo pomeriggio, quello del 19 luglio 1992; doveva essere un tranquillo pomeriggio estivo ma non è stato così, purtroppo.
Dopo aver pranzato a Villagrazia di Carini con la moglie Agnese, Manfredi e Lucia, due dei tre figli, Paolo Borsellino si dirige in via D’Amelio 21, all’abitazione della madre, presso la quale il giudice quella domenica si era recato in visita. Alle 16.58 un boato avvolge Palermo. Non era la prima volta, era già accaduto: cinquantasette giorni prima.
Il giudice Borsellino sapeva del carico di tritolo, era arrivato appositamente per lui, portava il suo nome e cognome. Una Fiat 126 rubata esplode provocando la morte del giudice e dei suoi cinque agenti di scorta, quali Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto è stato Antonino Vullo, scampato perché stava parcheggiando uno dei veicoli della scorta.
Sono trascorsi ventitré anni da quel massacro. Quella mattina Paolo Borsellino si era alzato alle 5 del mattino, com’era solito oramai fare da diverso tempo; diceva che lo faceva per “fregare il mondo con due ore di anticipo”. Con la sua solita ironia riusciva a sdrammatizzare anche una morte annunciata, la sua; e l’ha fatto anche quel 19 luglio.
E’ impresso nella nostra memoria lo sgomento sul volto di tutti coloro che avevano appreso la notizia, increduli e spaventati che, ancora una volta, la mafia avesse vinto, ma allo stesso tempo assetati di vita normale e di onestà. I ricordi sono sempre lì, vividi, impressi nella nostra mente, esattamente come l’espressione del giudice, affabile e ironica.
La morte di Borsellino aveva il sapore amaro della scomparsa di un grande uomo, ci aveva cioè lasciato il caro vicino della porta accanto, la persona per bene che svolgeva semplicemente il suo lavoro. Era il 25 giugno 1992 quando Borsellino ha tenuto il suo, oramai famoso, discorso alla biblioteca comunale di Palermo; aveva annunciato la prossima strage in diretta con un timbro impastato, roco, da fumatore incallito.
“Chi ha paura muore ogni giorno. Chi non ha paura muore una volta sola”, questa è l’eredità che ci ha lasciato un giudice che è stato strappato alla vita troppo presto. Paolo Borsellino è morto perché non ha avuto paura, perché ha fatto sì che la paura “non diventasse un ostacolo che ti impedisce di andare avanti”, come amava ripetere. Oggi si attende ancora la sua voce, la voce di Paolo Borsellino, non una frequenza registrata, non una riproduzione, ma il suono autentico nel momento in cui è stato emesso.
La domanda che sorge spontanea è sapere se quella voce di uomo solo è scampata alla strage oppure se è rimasta seppellita sotto i calcinacci di via d’Amelio. Forse aveva ragione Rita Atria, giovane testimone di giustizia suicidatasi una settimana dopo la strage di Via D’amelio, “Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare; forse, se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo”.