Quando incontrai Donato Bruno la prima volta ne ebbi una sensazione di familiarità. Lo studio che mi ospitava, la circostanza che entravo da giovane legale in un collegio composto da avvocati capitolini più anziani, la voce baritonale con inflessione romana con la quale presiedeva le riunioni della Commissione affari costituzionali della Camera e che mi invitò ad accomodarmi all’altro capo di un lungo tavolo, di fronte al quale campeggiava un grande arazzo della Città eterna, avrebbero dovuto intimorirmi.
Ma così non fu. Quel garbato padrone di casa non solo seppe ascoltare e guidare la complessa riunione di lavoro, ma la concluse con una sagace soluzione al termine di un serrato confronto. Mi avvicinai per scambiare qualche ulteriore idea, disse…”si vede che sei un giurista del Sud, anch’io lo sono“. Scoprii così le sue origini pugliesi, di Noci (vicino Bari). Sì, la Puglia che lasciò da giovane ma che mai abbandonò, nonostante da decenni vivesse e lavorasse a Roma e che, in controtendenza con i destini della vita professionale, fu luogo del suo impegno politico.
Gentiluomo meridionale, dai modi distinti, si muoveva a proprio agio tra le aule parlamentari e quelle giudiziarie. Apparteneva infatti a quella schiera di giuristi meridionali – tra i molti che hanno fatto la storia dell’Italia – per i quali impegno professionale ed impegno politico costituiscono sfaccettature dell’essere uomini di diritto. E così, a margine di incontri di lavoro, ci fermavamo spesso a parlare del Sud, delle misure da approntare per garantirne il rilancio, dell’ineludibile esigenza del Paese di risolvere la “questione meridionale” per ritornare ad esser competitivo. Ben lontani da forme di vittimismo che taluni vorrebbero rimproverare al Mezzogiorno.
Giurista e politico appassionato, ma equilibrato, capace di unire analisi giuridica, sagacia ed ironia nella dedizione al lavoro. Alla guida della classifica dei deputati più produttivi nella XVI legislatura, si confermò protagonista attento nel corso del dibattito sul d.d.l. di riforma della Costituzione. Strenuo sostenitore dell’elettività del Senato pur di fronte alla eliminazione dell’obsoleto bicameralismo paritario. Pienamente consapevole dell’impossibilità di sottrarsi “alla ricerca di una soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui hanno bisogno improrogabile per sopravvivere e progredire la democrazia e la società italiana. Se dovessero ancora prevalere le tendenze conservatrici che hanno finora bloccato la revisione della seconda parte della Costituzione, condanneremmo il Paese alla paralisi e al declino politico ed economico“, indicava quali riforme essenziali: “una nuova forma di Stato, una nuova forma di Governo, il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, la riforma del sistema elettorale, le spese della politica e il rafforzamento dell’articolo 138 della Costituzione. Il lavoro dovrebbe completarsi poi con la modifica dei Regolamenti parlamentari” (discorso tenuto il 23 maggio 2013).
Tra le Sue ultime proposte, l’ordine del giorno nel quale sostenne che la legge di revisione costituzionale in discussione non fosse sufficiente né esaustiva del quadro complessivo lasciando ancora sospesi nodi fondamentali, la cui risoluzione era ed è indispensabile per dare al Paese un modello moderno e funzionale di gestione. Auspicava una riforma strutturale della Costituzione “nella convinzione che una modifica in direzione presidenzialista e di un premierato con maggiori strumenti di governo – sposando tesi che non sono solo di una parte politica, ma che appartengono ad un ampio dibattito della vita repubblicana – darebbe vita ad un sistema più coerente con quello delle grandi democrazie, non solo europee“.
Mentre quella che si prospetta è purtroppo una riforma costituzionale solo parziale e per alcuni versi contraddittoria. Si accomiata un grande avvocato, un politico equilibrato ed apprezzato, un meridionale responsabile ed innovatore. L’impegno di Donato costituisca stimolo anche per i tanti giovani professionisti del Sud costretti a vivere e lavorare lontani dalla propria terra d’origine, ma che ad essa intendono rimanere legati interpretandone l’ansia di cambiamento e di riscatto.
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