Apprendo della morte di Vincenzo Ziccarelli e mi rattrista aver perso l’amico e l’uomo politico e di cultura che ho spesso raccontato.
Nelle notizie che inseguo sul web mi sembra sfumar il fatto che egli fu un autentico socialista calabrese del Novecento. E vorrei qui richiamare il suo ruolo di presidente della Provincia di Cosenza (se la memoria non m’inganna credo che fu anche consigliere comunale a Palazzo dei Bruzi) in un momento molto progressivo del territorio in cui sono nato e vissuto.
Mi sembra doveroso ricordare che Vincenzo, proprio in qualità di presidente della Provincia di Cosenza quando queste cariche non erano solo elemento di casta, aveva giurisdizione e ruolo su quel grande luogo di dolore e restrizione che era il grande manicomio di Nocera Inferiore.
E in quei rumorosi anni Settanta la politica cosentina, il Giornale di Calabria, il circolo Mancini, il Premio Sila insieme a molti cittadini posero grande attenzione alle idee di Basaglia aprendo una battaglia per la chiusura del manicomio di Nocera dove furono afflitti e contenuti molti “Matti” delle nostre contrade.
Ziccarelli per il suo ruolo ebbe un protagonismo decisionale molto incisivo. Ne trovo traccia in un articolo del 14 ottobre del 1975 in un editoriale in cui il direttore Piero Ardenti scrive: “la denuncia del presidente Ziccarelli s’inquadra perfettamente in un’azione di raccordo che deve vedere impegnate tutte le forze politiche, culturali e sociali interessate dai mutamenti della nostra società: il potere politico può, e Ziccarelli l’ha dimostrato avere forza dirompente e capacità d’urto”.
Vorrei aggiungere anche che da uomo di partito Ziccarelli nel mio ricordo, mantenne sempre una dignitosa autonomia intellettuale che non disdegnava di proporre nel dibattito pubblico accompagnandola anche ad una sua disponibilità di “civil servant” che mai fu recepita dalla rapace classe dirigente locale. Non va dimenticato neanche che fu attento e prima firma nel proporre attenzione sulle condizioni di vita di Saverio Strati.
La vicenda teatrale di Ziccarelli è molto rilevante. Le sue opere pubblicate sulla rivista “Sipario” con autorevoli prefazioni di Pedullà sono la dimostrazione del talento e della qualità della scrittura. Comunque, faremmo grande torto a Vincenzo, non ricordando che la sua creatura del Teatro dello Stabile di Calabria, egli ne fu sostenitore e presidente, finì amaramente nella polvere del fallimento seppellito dai debiti tipici della Prima Repubblica.
Rimproverai il dato nel momento della scomparsa di Enzo Siciliano, la ribadisco oggi per Vincenzo, anche per accendere una luce su un argomento molto rimosso e che trovò un sano momento di riflessione solo grazie ad un puntuale articolo di Valentina Valentini su Ora locale, consultabile in rete.
Ziccarelli non perse la verve dell’organizzatore di cultura e mi pare il caso di richiamare la sua opera di patron della frizzante rassegna “Zolfo e malie” che per molte stagioni allietò le estati della Costa tirrenica cosentina nel piacevole scenario delle Terme Luigiane.
Il commediografo fu di valore e per fortuna la Commissione cultura del Comune di Cosenza non si è lasciata sfuggire recentemente l’occasione di una giusta celebrazioni in vita e anche la casa editrice Pellegrini ci consegna un libro-intervista che aiuta molto a far memoria. A me piace ricordare tra tanto teatro impegnato e di rigore con attori di gran livello recitativo rievocare i fasti di “Cristina ‘a spedese” opera in dialetto che fa di Ziccarelli il più degno continuatore di Ciardullo e a chi non c’era dono queste notaralle storiche trascritte da un programma di sala redatto per una recente riedizione: “Cristina ‘a spedese” è il ritratto di una Calabria di emigranti di 40-50 anni fa. E’, per detta di tanti spettatori, lo spettacolo più avvincente, più divertente scritto in dialetto.
Vincitore di un concorso bandito nel 1970 dal Comune di Cosenza, presidente della giuria il professore Mario Misasi, tra i componenti il professore Luigi Gullo, per un testo in dialetto, ha avuto, nei primi anni Settanta, oltre cinquanta repliche al teatro Rendano di Cosenza. E’ stato visto, cioè, da cinquantamila cosentini.
E’ stato, nel 1974, replicato per una settimana al Piccolo Eliseo di Roma, primo lavoro in dialetto calabrese rappresentato nella capitale. Narra l’impatto tra gli abitanti di un paesello della provincia di Cosenza, ancora in gran parte contadino, con una svedese in minigonna, compagna temporanea di uno dei tanti emigrati della nostra terra. E’ un incontro-scontro tra due mondi diversi, apparentemente inconciliabili, ove le donne incominciano a svolgere un ruolo determinante.
E’ un susseguirsi di modi di dire, di termini ormai desueti, di canti popolari, di proverbi; il rivelarsi di una fame di sesso antica fra i giovani, e di intolleranze ed ipocrisia fra i meno giovani. Un emozionante divertimento. Ci sono persone che l’hanno visto e rivisto fino a dieci volte.
Io lo ricordo anche trasmesso in versione integrale da una tv privata e merita menzione il fatto che la svedese della piace fu anche interpretata da Solvi Stubingen procace bionda della celebre pubblicità della birra Peroni.
Ci lascia un intellettuale serio e una brava persona che con enorme dignità affrontò anche tristi frangenti esistenziali. Ricordarlo è un dovere. Resta il suo teatro che spero sia sempre presente, e possibilmente ai livelli che meriti, nelle programmazione dei teatri cittadini.
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