Sicilia Immagina. 29 dicembre 2019.
Atto secondo.
Riprendo il mio viaggio, direzione: Milena.
E’ un viaggio interessante, fatto costantemente di scoperte. Vedo “Cozzo Minnetta”, una delle possibili sepolture di Minosse, venuto in Sicilia alla ricerca di Dedalo.
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Continuiamo il viaggio, ritrovandoci ad attraversare un ponte che con molta probabilità tra dieci anni non esisterà nemmeno. Dicono che dobbiamo ritenerci “fortunati” nel percorrerlo, io mi sento triste, affranto. Perché ci si deve lasciare ad uno stato di abbandono? Perché dobbiamo ritenerci fortunati nell’assistere a qualcosa che presto o tardi fallirà anche per colpa nostra? Mi sento responsabile, anche se questa non è la mia terra originaria, anche se queste non sono le strade che dovrò percorrere ogni giorno. E lo spettro incontrato qualche giorno prima ritorna da me, mi urla in faccia la triste realtà: siamo abbandonati e abituati a noi stessi. Niente di più triste e vero. Continuo a conoscere, però. Non mi fermo. Non voglio. Scopro qualcosa di Milena, un paese complesso. Milena, anche chiamata “Paese delle Robe”. Le Robe, presidi territoriali autonomi aventi un’origine molto antica che si è preservata fino al 1900. Tutto ciò porta il centro storico del paese ad essere costituito da tanti piccoli nuclei di case antiche che hanno caratteri più o meno identitari che fanno comprendere anche ciò che poteva esserci fino a qualche tempo fa. Una rete di connessioni che arriva fino alla periferia, dove a edifici antichi si uniscono giardini d’altri tempi.
Arriviamo a Milena, vengo subito accolto con calore. Mi siedo, la presentazione inizia. Michele inizia a parlare, tirando fuori un argomento più scottate e attuale che mai: la nostra abitudine al rischio che spesso ci porta a diventare qualcuno che non ci appartiene minimamente. Dice che dobbiamo calarci nel reale, in quello che abbiamo e in quello che siamo, che dobbiamo pensare in maniera diversa da come si è sempre pensato, di dare inizio ad un percorso di “Risignificazione”. Dice che abbiamo la necessità di dirci che siamo altro, di non accontentarci degli articoli e delle classifiche che ci collocano agli ultimi posti per vivibilità e proprio per questo dobbiamo iniziare a focalizzarci sulla figura dell’artigiano, il cui sapere viene dal fare. Un artigiano dell’immaginario, per l’appunto, che ogni giorno, cercando di mettere mani nelle cose per risolverle inizia a porsi una serie di domande: Come possiamo iniziare ad immaginare processi di cambiamento per le nostre comunità? Quando parliamo di comunità, di che cosa parliamo? Ma il cambiamento, cos’è?
Ho scritto un libro, mettendo al centro due elementi fondamentali: l’artigiano – colui che ogni giorno cerca di risolvere i problemi concretamente – e l’immaginario, l’immaterialità per antonomasia. Ho deciso di opporre quindi la capacità di risolvere problemi con la capacità di produrre un immaginario costituito da visioni in grado di creare orizzonti che una collettività può realizzare. Inizio a raccontare, a spiegare di come nel mio libro “fare e pensare” siano due entità inseparabili, connesse tra loro, conferendo insieme ad altri elementi più concreti, come la grafica stessa, un carattere speciale al libro: la capacità di permanere nei luoghi, muovendosi, viaggiando. Continuo a raccontarmi, a far conoscere la mia identità. Quali sono le attitudini e le capacità che un artigiano dell’immaginario deve avere? L’attitudine di credere profondamente nei processi collaborativi ed essere diffidente nei processi competitivi. Con i primi, infatti, si può dare forma concreta ai valori. C’è l’immagine di un libro, “Insieme” di Richard Sennett, che mi piace molto: l’immagine è presa dall’alto e racchiude un gruppo di vogatori che rappresenta chiaramente ciò che vuol dire cooperare, ovvero cercare di fare all’unisono la stessa azione in modo da creare un’energia che consenta di andare avanti.
Pensando alla copertina del mio libro avevo chiara un’immagine: un gruppetto di scugnizzi napoletani che nei vicoli si organizzano e trasformano quel vicolo in un campo da calcio. Cosa fanno? Si incontrano, condividono un desiderio, individuano lo strumento per poter realizzare questo desiderio e fanno di tutto per potersi procurare questo strumento, per poi trasformare il loro spazio a disposizione in ciò a cui aspirano: un campo da calcio, giocando infine come fosse la partita della loro vita. Questo è un processo di natura immaginativa e di natura trasformativa e sono attitudini che un artigiano deve avere. Continuo a parlare, a far conoscere ciò davvero è importante per me. Meglio competenze o capacità? Capacità, senza dubbio. Se avessi avuto con me una squadra composta da persone competenti ma senza il desiderio di fare qualcosa probabilmente non sarei riuscito a realizzare il mio sogno. Proprio per questo ho deciso di accogliere nel mio team ragazzi non aventi competenze ma appassionati, sintonizzati sui loro desideri, in grado di lavorare e dar spazio alle loro capacità. Occorre liberarsi dalla paura dell’errore, dai fantasmi del passato. Più che “sbagliando si impara” direi che “sbagliando si impara a sbagliare sempre meglio”, questo perché l’errore fa parte di un processo di cambiamento, di trasformazione, di qualcosa di così complesso che non deve farci abbattere. Dobbiamo imparare a cadere, come i trapezisti. Per fare ciò ci vuole prontezza, di cui parlo nel libro, ovvero essere pronti a leggere in maniera molto rapida lo scenario che ci circonda, fare delle valutazioni e prendere delle decisioni.
Prendere decisioni comporta un altro fattore molto importante, la presenza: chi è davvero presente ha una percezione notevolmente aumentata della realtà, in quanto governa simultaneamente tre dimensioni. L’artigiano dell’immaginario che non presenta questa capacità può essere educato alla sua pratica, iniziando dei processi per accrescere la nostra immaginazione. Bisogna essere menti pronte, dico. Bisogna essere menti pronte perché solo così puoi cogliere il cambiamento attorno a te. “Secondo te quali strumenti dovremmo cercare per dar vita ad una buona collettività?”, mi chiede Michele. Beh, secondo me più che degli strumenti ci vogliono delle precondizioni quali il ripristinare legami di natura fiduciaria e quindi aumentare la “temperatura” di questi legami in grado di dar spazio a nuove possibilità, evitando così le cosiddette “crociate di pochi” che poi, forse, per una certa storia possono diventare degli eroi ma che in realtà non riescono ad ottenere nulla.
Essere eroi vuol dire avere una virtù comune: la virtù del Cominciamento, divenendo così un eroe nel momento stesso in cui inizi un viaggio, un’avventura. E’ proprio questo il punto: avere comunità eroiche, non singoli eroi.
“Come si può cominciare a fare?”, mi chiedono.
Con coraggio, rispondo. Coraggio, che nella sua natura etimologica, cor-agere, vuol dire appunto “dare forma al cuore”, lavorare al desiderio. Proprio per questo bisogna diffidare dei falsi miti con cui siamo cresciuti e scavare fino alla radice, intraprendere una viaggio verso la verità.
Chiedo ai ragazzi presenti tra il pubblico se hanno qualche domanda per me.
Mi osservano in silenzio, nessuno ha il coraggio di aprire bocca.
Dico che il punto non è tanto dare la risposta giusta, quanto piuttosto saper fare la domanda giusta. Mi rendo conto poco dopo che forse ho solo peggiorato la situazione, inibendoli a non fare domanda.
Qualcuno si fa avanti, chiede, rispondo.
“Io volevo fare prima una costatazione e poi porti una domanda.
Innanzitutto volevo ringraziarti per il libro, perché oltre ad essere un artigiano dell’immaginario secondo me sei anche un portavoce di bellezza e per me alla base della bellezza ci sono curiosità e cura, due parole che hanno la stessa radice etimologica e io quello che sono riuscita a vedere leggendo il libro è stata non solo la curiosità, ovvero indagare e studiare tutto quello che ci circonda, ma soprattutto averne cura, perché cercare di capire chi siamo, esserne curiosi comporta anche un certo grado di responsabilità, il prenderci cura di chi siamo e di chi saremo ed è importante perché, come dicevi prima, ci ritroviamo a vivere in una società di falsi miti, di falsi eroi, quindi spesso non sappiamo chi siamo e non ce ne prendiamo cura. La mia domanda è questa: in una società del genere come si può educare una persona, e soprattutto un giovane, ad avere ancora speranza e, soprattutto, avere curiosità e cura di chiamo e di chi potremmo essere?”, chiede una ragazza dal pubblico.
Inizio a pensare, mi tocca nel profondo.
È una domanda che mi faccio ogni volta che entro in aula per fare lezione o in un luogo pieno di giovani.
Come posso essere strumento di creazione e di speranza? Como posso essere strumento per poter essere utilizzato da loro?
Non lo so, non so rispondere. Approccio dei tentativi. Quello che pratico è quello dell’onestà, essere crudelmente onesti. L’onestà è qualcosa che circola poco, al giorno d’oggi. Ha smesso di viaggiare. È questo che voglio fare: invitare i giovani a praticare l’onestà, imparare a raccontare le cose per quello che sono veramente. Essere autentici, imparare a riconoscerci.
Dopo la presentazione i ragazzi che hanno organizzato il festival Mi Fa Sol|MIlena FestivAl SOciaLe-è ora di cambiare musica! ci portano al Magazzino Culturale “Ex oleificio”, un ex oleifico che hanno trasformato in centro culturale aperto alla comunità. Qui continueremo la serata con una cena sociale, la proiezione di un cortometraggio ed un concerto.
Carmelo così mi racconta di questa esperienza del Festival. È successo che, attraverso il confronto e il dialogo competente e sincero, gli slogan sulla viabilità sono diventati proposte per una nuova mobilità, sostenibile, moderna, necessaria e che risponda ai reali bisogni di un territorio fortemente cambiato e che non può più rispondere a schemi mentali ormai antichi.
È successo che, attraverso delle proposte concrete elaborate da operatori del settore, la parola sociale non è stata associata, come succede spesso, ad assistenza ma ad opportunità, per le persone, per chi è più debole ed ha minori opportunità, per tutto un territorio con la sua comunità.
È successo che gli autori di piccoli sogni sul territorio si sono seduti allo stesso tavolo per capire insieme come far diventare i loro piccoli sogni tasselli di un unico progetto ancora più grande e possibile!
È successo che due ragazzi ci hanno raccontato come una comunità si è unita per contrastare il degrado e l’inquinamento del proprio territorio e di come possiamo e dobbiamo sostenerli tutti.
È successo che ci siamo emozionati impastando il pane e facendo le ‘mbriulate, riscoprendo il loro senso profondo e antico insieme al fatto che si possano ripensare i territori, in maniera diversa e più necessaria, partendo dal cibo e di come si possa fare economia vera e sostenibile, reale per la nostra terra.
È successo che, donne e uomini appassionati, ci hanno raccontato di come il gesso non sia un elemento geologico ma sia il nostro passato e possa essere il nostro futuro.
Pane, gesso, ‘mbriulata, metafore di come eravamo e di come dobbiamo ricostruirci come comunità umana, racconto di tutto quelle cose che dobbiamo recuperare ed imparare a riconoscere per rianimarle.
È successo che dei giovani si sono uniti e hanno creato un movimento fatto di proposte concrete e possibili, costruite durante i loro racconti in giro per la Sicilia, perché vogliono riuscire qui senza per forza essere costretti ad andare via.
È successo che una pescheria è diventata un incubatore di sogni ed è successo che dei giovani emozionati ci hanno raccontato di come hanno deciso di tornare e di mettersi in gioco.
È successo che abbiamo analizzato le migrazioni di oggi osservando quelle antiche dei nostri nonni.
È successo che siamo stati in Africa attraverso i racconti di uno che, a casa loro, c’è stato a visitare chi, a casa loro, davvero li aiuta. Ed è successo che abbiamo visto piangere vecchi e giovanissimi ascoltando tutto questo.
È successo che tanti giovani, un sabato sera, hanno aspettato sino a tarda notte per poter fermarsi a parlare con una splendida teatrante alla fine del suo spettacolo.
È successo che uno degli uomini che ha trasformato una follia in un sogno ci ha insegnato che potere è verbo e non sostantivo e che nel trasformare l’immaginazione in realtà nessuno può e deve essere escluso.
È successo che si sono seduti allo stesso tavolo un artigiano dell’immaginario, un’artigiana dei significati della parola, un disobbediente, un obbediente, un’artigiana delle diversità e un sognatore ed è successo che le parole hanno preso forma concreta perché l’idea si farà azione.
È successo che una poesia d’immagini ci ha mostrato dolcemente come un rastone bocconiano, invece di guadagnare decine di migliaia di euro in giro per il mondo, ha deciso di tornare nel suo paese di 500 anime per fare l’agricoltore.
È successo che bimbi biondi e neri giocavano ad imboccarsi cibi camerunensi, pakistani, romeni cucinati da tre splendide donne che dopo la cena si saranno sentite un po’ meno straniere.
È successo che un dolce e timido ragazzo nigeriano ci ha cantato Rosa Balistreri e come ha realizzato i suoi sogni.
Tutto questo è successo e vogliamo che succeda ancora … tutto questo è successo ed è stato un successo, un arricchimento umano e un accrescimento culturale che mai si era visto a Milena, nel cuore profondo della Sicilia. È successo e qui (da oggi non più) non era scontato che sarebbe mai successo …
È successo che si è concluso il Mi Fa Sol|MIlena FestivAl SOciaLe-è ora di cambiare musica! e si è aperto il Do Re La|fuorifestival-Dobbiamo continuaRE a LAvorare! per fare in modo che tutte queste idee e processi si concretizzino il più possibile e affinché succeda ancora e succeda ancora meglio!
Agostino Riitano
(Questo report è scritto grazie alla collaborazione con Enza Di Maria)