Per la Calabria perennemente assetata d’acqua, arriva finalmente il via libera per la fase sperimentale della Diga Re di Sole. Ma è veramente una bella notizia? O, forse, ci troviamo di fronte all’ennesimo plot di un Mezzogiorno che ha sprecato tempo, risorse e denaro? La pur comprensibile gioia dell’amministrazione regionale nel registrare il piccolo passo avanti, viene diluita dalla storia di quell’invaso. Perchè, quella diga è attesa dalla fine degli anni Sessanta e i lavori vanno avanti, a singhiozzo, da quasi mezzo secolo. Quell’invaso, oggi, non avrà la stessa utilità che avrebbe potuto esercitare, se fosse stata realizzata in tempi “civili”. Dagli anni ottanta ad oggi, infatti, il settore agricolo che avrebbe dovuto usufruire di quelle acque è completamente cambiato, ridotto quasi allo stremo da una crisi senza precedenti.
A 46 anni di distanza dall’avvio dei lavori, quindi, parlare di “sperimentazione” suona come l’ennesima potenziale beffa. La diga Re di Sole si trova nel territorio del comune di San Giovanni in Fiore, una zona particolarmente ricca d’acqua. Oltre alla perenne incompiuta Re di Sole, in quella zona insistono due laghi artificiali, l’Arvo e l’Ampollino, e due invasi “fantasma”, opere progettate ma mai portate avanti.
Enorme diga in cemento armato e calcestruzzo, quell’opera è nota per essere una delle più grandi incompiute della Sila. La classica cattedrale nel deserto. E’ costata almeno 30 miliardi di lire. Venne progettata dall’allora Opera Sila (ente preposto allo sviluppo economico dell’altopiano silano) negli anni ’50. Il primo appalto risale al 1978 e l’opera venne terminata solo nel 1990. L’invaso non è mai entrato in funzione nonostante l’opera sia stata ufficialmente consegnata. La diga ha dimensioni piuttosto notevoli: 40 metri d’altezza per 13 metri di larghezza, e ben 180 mila metri cubi di pietrame e calcestruzzo utilizzati, per un invaso che avrebbe dovuto raccogliere solo 1 milione e mezzo di metri cubi d’acqua.
Attorno a quella diga, completata ma mai operativa, nacque una singolare leggenda. Si diceva che non potesse entrare in funzione perché mancava il custode. In realtà, la situazione era molto più grave e complessa. Infatti, l’opera non venne mai messa in funzione per vari motivi burocratici. L’Opera Sila – che aveva modificato la sua struttura, diventando Esac (Ente per lo sviluppo agricolo della Calabria) – non aveva i fondi necessari per gestirla. Anche l’interesse politico era scemato così come lo scopo per il quale l’opera fu realizzata a servizio delle aree agricole di molte località quali i Serrisi, il Germano e l’Olivaro, vista anche la crisi del settore e la chiusura di molte aziende.
Il bacino non è mai stato colmato poiché si ritenne che vi fossero delle vistose crepe nella diga che, in caso di riempimento, avrebbero potuto compromettere l’intera struttura con possibilità di cedimento e conseguente pericolo per le popolazioni che abitano nella vallata sottostante. Per questa ragione, nei primi anni 2000 vennero stanziati altri 600 milioni di lire per opere di consolidamento. Ma nonostante la copertura finanziaria, non risulta che quei lavori di messa in sicurezza siano mai stati eseguiti. Adesso, a settanta anni dalla progettazione, si parte con la fase sperimentale. Così, alla Regione Calabria per ora festeggiano tutti.