- Progettata negli anni 80, sino ad oggi è costata 74 milioni di euro
- Per completare la diga andrebbe distrutto un sito archeologico di epoca romana imperiale
- Legambiente contesta: opera abusiva e inutile
La Diga Pietrarossa è stata per decenni il simbolo degli sprechi, l’incompiuta siciliana per eccellenza. Pensata all’inizio degli anni ’80, i lavori per l’invaso iniziarono nel 1990. La sua capienza è stimata in oltre 45 milioni di metri cubi d’acqua, una mano santa per le terre assetate di quella zona vocata all’agricoltura di qualità. Sino ad oggi per la sua realizzazione sono stati spesi 74 milioni di euro, risorse pervenute dalla scomparsa Casmez, la Cassa del Mezzogiorno.
La storia dell’opera
La storia di quell’opera monumentale è costellata da sequestri giudiziari, ricorsi e traversie. Una partita burocratica che ruotava – e ruota ancora oggi – attorno a un dettaglio mica da ridere. Nella seconda metà degli anni novanta, sulla mappa di costruzione di quell’opera d’ingegneria che si abbevera da un affluente del Simeto, venne rinvenuto un insediamento di epoca romana. Conseguenza immediata fu il vincolo posto dalla Soprintendenza ai beni culturali.
Completa al 95%
Nella Sicilia delle incompiute, oltre centotrenta, la diga Pietrarossa tra le province di Catania e Enna è un simbolo: è completa al 95%, dopo anni di traversìe al limite dell’incredibile, Pietrarossa ha una storia che risale al 1982 anche se la posa della prima pietra è del 1990. Collocata tra le province di Catania e Enna, territori di Caltagirone, Mineo e Aidone, è alimentata da un affluente del Simeto.
Il commissariamento dell’opera
Studi e relazioni di tecnici e ambientalisti sostengono che quella diga sia abusiva e vada demolita. Per tutelare il sito, ma anche – secondo i “greenpensanti” – per il rischio di compromissione dell’Oasi del Simeto e di fauna e flora nella zona. La Regione Siciliana ha sempre avuto una visione diversa e da quasi venti anni, tutti i governatori che si sono succeduti a Palazzo d’Orleans hanno provato a completare l’opera. Anche il governo nazionale la vede in questo modo, tanto da aver inserito quella diga nelle opere sottoposte a commissariamento poiché ritenute strategiche per lo sviluppo del paese. Con il Dpcm di aprile, infatti, la diga è stata affidata alle cure del commissario straordinario Ornella Segnalini, architetto, direttore generale in quiescenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, esperta di programmi integrati e di riqualificazione urbana, con grande competenza nella programmazione negoziata Stato-Regioni e nell’utilizzo dei fondi europei. Secondo il cronoprogramma del Ministero delle Infrastrutture, la diga andrà completata entro due anni. La consegna dell’opera è prevista nel giugno del 2023, grazie a una dotazione finanziaria di 60 milioni di euro.
Le polemiche
Ma siamo sicuri che andrà tutto bene? In realtà, basta spostare indietro le lancette del tempo fino al gennaio del 2019, per scoprire che i nervi sono rimasti scoperti. E che forse il completamento di quella diga potrebbe riservare qualche inconveniente.
Ecco la ricostruzione. Il 31 gennaio del 2019, il presidente della regione Musumeci firma l’accordo con il Ministero per far ripartire i lavori e per ottenere il trasferimento delle risorse necessarie a completare l’opera. Proprio in quell’occasione, Musumeci fece correttamente notare che sarebbe stato necessario “effettuare le indagini sulle strutture esistenti e per le quali è necessario verificare lo stato di funzionalità e di efficienza e, subito dopo, si potrà procedere con la gara per affidare le opere di completamento dell’impianto”.
Si tratta di completare un’opera abbandonate da oltre trentanni. Una cosa è certa. Legambiente non si arrenderà tanto facilmente e continuerà la sua battaglia contro la diga. Lo scontro è iniziato negli anni novanta ed è continuato sino al recente accordo tra Mit e Regione siciliana del 2019, quando Gianfranco Zanna sostenne che “le opere finora realizzate della diga Pietrarossa, fino a prova contraria, sono abusive e prive delle necessarie autorizzazioni amministrative e della Soprintendenza. Ci chiediamo che fine abbia fatto l’inchiesta aperta dalla magistratura su questi aspetti. Qualora la diga dovesse realizzarsi, sarà cancellato uno stazzo romano di altissimo valore archeologico, che si trova in una delle vie di comunicazione più importanti della Sicilia di allora. Sicuramente non riproducibile in una fantasiosa riproduzione virtuale. Non ci aspettavamo che questo governo riaprisse la triste pagina degli scandali delle dighe, dove si è più mangiato, alcuni, che bevuto, perchè l’acqua è continuata a mancare nelle case dei siciliani”.
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