Chi ha messo la scritta “Terun”, nella sala attigua all’auditorium della Regione Lombardia, in cui si teneva l’incontro sulle imprese femminili e le storie imprenditoriali di successo al Sud e nell’area mediterranea?
La consigliera di Parità della Regione Puglia, Serenella Molendini, ha diffuso la foto della scritta, composta con lettere mobili, del colore verde con cui si identifica, ormai, la Lega Nord (ma la “n” messa al contrario: qualche altro laureato in contumacia?).
Secondo la denuncia postata sul gruppo Facebook degli Stati regionali delle donne, quella sconcezza il giorno prima non c’era. L’episodio non può passare come una goliardata: usare il termine terrone con intenti offensivi può comportare una condanna, come sancito da sentenza della Cassazione. Che una porcheria del genere sia stata compiuta in una sede pubblica, istituzionale, è un’aggravante imperdonabile.
Ci saranno videosorveglianze e altri presidi di sicurezza, nel cosiddetto Pirellone; qualcuno avrà visto chi trasportava quelle lettere poi poggiate per terra, contro il muro; qualche telecamera dovrebbe averlo ripreso.
Si spera che le persone così volgarmente accolte (un gesto che offende prima i lombardi, poi le ospiti insultate), oltre ad aver scritto al presidente Maroni, per protestare, si rivolgano anche alla magistratura, se nel frattempo non l’hanno fatto. La casa di tutti è stata violata e sporcata; bisogna ripulirla.
E si può farlo solo in un modo: trovarne i responsabili e punirli come meritano. Pur se il presidente della Regione, Roberto Maroni, fosse personalmente d’accordo con chi chiama “terun” quanti nascono nella fascia più soleggiata del nostro Paese, avrebbe il dovere, quale rappresentante dell’istituzione che guida, di scusarsi pubblicamente, condannare il gesto, scovarne autore/i ed eventuali complici. Se non lo fa, chiunque potrà legittimamente ritenere che il gesto e l’insulto siano condivisi dal presidente della Lombardia. E qualcuno potrebbe ritenerlo persino l’ispiratore: quando non si trova chi è stato, tutti sono sospettabili, a cominciare da quanti, per via del proprio ruolo, hanno maggiori responsabilità.
Finché non sarà fatta luce e pulizia, il gesto starà ad indicare, agli ospiti della Lombardia, quale tipo di accoglienza si può ricevere, anche in una sede istituzionale, se l’istituzione è retta dal rappresentante di un partito con un programma razzista, “Prima il Nord”. Dalla reazione della Lombardia migliore capiremo quanto grande è la sua distanza da una tale idea di ospitalità.
La prima non può che venire dal Consiglio regionale, perché pretenda chiarezza sulla vicenda e, con le scuse, magari l’invio di fiori alle signore insultate.