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Un barcone della morte vale un milione di euro. Ecco il business sui migranti
03 Lug 2014 07:38

Era tutto chiaro ma un’inchiesta della procura di Palermo sta svelando i tratti del grande business dei migranti. Per realizzare il massimo profitto i trafficanti riempiono i barconi all’inverosimile tralasciando qualsiasi misura di sicurezza. Le tariffe per ogni passeggero variano da caso a caso ma in media superano i mille dollari. A conti fatti, gli investigatori calcolano che ogni barcone può fruttare una cifra che sfiora il milione di euro.

La grande quantità di denaro messa in movimento alimenta un’organizzazione ramificata e perfetta dei viaggi della speranza. Il sistema, dicono gli inquirenti, è così in grado di offrire un servizio completo. Comprende il reclutamento, il trasferimento e la custodia dei passeggeri ma anche l’offerta del “sogno” di raggiungere un paese nel quale costruire il proprio futuro. Intanto non possono non colpire al cuore le stragi dei migranti. Pochi giorni fa un altro peschereccio che doveva rappresentare la speranza e che invece si è trasformato in un inferno per una trentina di giovani centro africani morti schiacciati e asfissiati in uno spazio di pochi metri quadrati, a un passo dal vano motori che lascia passare monossido di carbonio che inalano senza potersi muovere.

Fa impressione vederli senza magliette e quasi tutti con costumi coloratissimi. Un investigatore dà voce alla sensazione che tutti hanno nel vedere quelle immagini: “sembra una fossa comune, come di quelle che abbiamo finora visto soltanto sui libri di storia“. Il peschereccio è arrivato nel primo pomeriggio a Pozzallo: nave Grecale l’ha lasciato in consegna a una motovedetta della Guardia costiera, in rada, dove è rimasta fino a tarda serata con il suo ‘carico’ di 566 migranti, 240 circa dei quali erano sul barcone carico di morti. Arrivato al molo il lavoro di investigatori e soccorritori sul motopesca si è rivelato più difficile del previsto: un cedimento strutturale della cabina del natante ha richiesto un impegno lungo e paziente per permettere il recupero delle salme. Il numero fino a sera resta ancora imprecisato: una trentina è la stima degli investigatori.

Ci potrebbero essere dei minorenni, dei ragazzini, ma non dei bambini“, rivela uno dei due medici legali prima di recarsi a compiere un’ispezione cadaverica. “Erano tutti sovrapposti – aggiunge – perché lo spazio era troppo piccolo per il numero di persone che erano“. Per il procuratore di Ragusa, Carmelo Petralia, “è un’esperienza drammatica, la stiamo vivendo tutti quanti, e per chi sta operando è ancora più pesante“. Il magistrato non si pronuncia sull’inchiesta in corso, confermando che il suo ufficio sta valutando la posizione di due presunti scafisti individuati dalla squadra mobile. Dice di “avere la morte nel cuore, come se avessi ricevuto un pugno allo stomaco“, il sindaco di Pozzallo, Luigi Ammatuna, presente sul molo e che ha contribuito a trovare la cella frigorifera della protezione civile della Provincia dove sono portate le salme.

I corpi escono in bare e portati sui carri funebri: prima di partire vengono benedetti e accompagnati da preghiere recitate da un parroco di Pozzallo, don Michele, e dall’Imam di Scicli, Ziri. “Ci vuole più cuore – dice il sacerdote – altrimenti le parole girano a vuoto e non servono a niente“. “E’ un colpo al cuore degli esseri umani – osserva l’Imam – una tragedia per tutti al di là di religioni e appartenenze“.

Un viaggio della speranze che già prima di partire era diventato un dramma, raccontano i testimoni alla squadra mobile di Ragusa. I libici, confermano, ci hanno “trattati come bestie” compiendo “violenze inaudite“. Tre le persone sentite anche amici e lontani parenti delle vittime. “Abbiamo provato a salvarli appena ci siamo resi conto di quello che stava accadendo – ricorda una di loro – abbiamo fatto di tutto ma purtroppo era tardi, sembrava dormissero…“. Un altro viaggio della speranza trasformato in tragedia trova intanto dei potenziali colpevoli. La Procura di Palermo ha disposto il fermo di cinque persone, altre quattro sono irreperibili, accusate di essere coinvolte nel naufragio del 3 ottobre del 2013 davanti l’isola di Lampedusa in cui morirono 366 migranti. L’indagine, nove mesi dopo, ha individuato non solo i responsabili della tragica traversata ma anche i componenti, i metodi crudeli e la rete di collegamenti di una delle più agguerrite organizzazioni di trafficanti di esseri umani.


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