Il 13 gennaio del 2012 la Costa Concordia fa naufragio davanti al Giglio. Ieri ha iniziato l’ultimo viaggio. Da un estremo all’altro del porto di Genova. Lascia il molo dove è stata alleggerita di tutto e va nel bacino di carenaggio per lo smantellamento definitivo.
La Concordia si porta dietro 32 morti, un processo al comandante Francesco Schettino e soci ufficiali, un contenzioso mostruoso da centinaia di milioni di euro per risarcimento danni, morti cagionate e inquinamento del mare del Giglio.
E poi c’è l’affare dello smantellamento.
Sui giornali e in Tv l’affare Concordia diventa “la più grande tragedia della marineria italiana” o anche “la più grande sciagura in termine di perdite di vite umane” e altre iperboli dello stesso tenore.
Qui la giustizia penale procede spedita. Le responsabilità civili sembrano già chiarite. I vivi e i morti sanno quel che è successo e avranno giustizia. Tra il 28 e il 29 luglio 2013 un bus con 48 persone a bordo precipita da un viadotto della A16 in circostanze strane. Muoiono 40 persone di Pozzuoli. È calato il silenzio su questa tragedia. Non se ne parla. Perché?
Quale è la differenza tra chi muore su una nave da crociera nelle acque cristalline del mare dell’isola del Giglio e chi invece rimane schiacciato tra le lamiere di un bus ad Avellino? Ma la morte non era una livella?
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