Taranto è, potenzialmente, la città più bella della Puglia.
E, forse, non solo della nostra regione.
Taranto è, con Napoli, l’emblema del fallimento, politico-morale, della classe dirigente che ha devastato il Mezzogiorno negli ultimi 30 anni. Taranto, come mi ha ricordato e mostrato una splendida amica, ha un borgo antico, praticamente millenario caratterizzato da vicoli, dislivelli, palazzi storici e chiese dimenticate, “stratificato” anche dall’indifferenza, da almeno 30 anni.
In molti punti, è puntellato perché altrimenti cadrebbe a pezzi, quando, invece, potrebbe essere una delle sue più grandi risorse culturali e turistiche.
Taranto, dopo 20 anni, non può continuare ad essere descritta iconograficamente soltanto come “il sobborgo fagocitato dall’Ilva“: l’acciaieria più grande d’Europa che ha commesso, impunemente, alcuni dei reati ambientali, senza che lo Stato intervenisse mai, perché complice e colluso.
Quanti morti, per disastro ambientale, hanno sulla coscienza i vertici dell’Ilva e i burocrati corrotti di Stato? Taranto è, e deve essere, altro. Può esserlo.
Sia perché è di una bellezza struggente, con richiami alla sua storia quasi ovunque che ti fanno immaginare uno sviluppo alto e altro; sia perché esiste, nonostante tutto, un capitale umano e un patrimonio di competenze impressionanti che non possiamo permetterci più di dilapidare.
Non possiamo permetterci più di sprecare questa umanità. Il Sud è, prima di tutto, un luogo dell’anima.
C’è un Sud che non si piange addosso. C’è un Sud che vuole e che può farcela.
C’è un Sud, però, che ha bisogno di verità.
E pretende onesta, responsabilità, serietà da chi governa il territorio, a tutti i livelli.