Qual è la situazione oggi dell’economia del Mezzogiorno? Quali sono i principali temi da cui dipende una sua possibile ripresa?
La prima risposta non può che partire dalla storia recente. Il Mezzogiorno viene dalla più profonda recessione della storia unitaria. La caduta del reddito, con la crisi internazionale del 2008-09 e poi con quella europea iniziata nel 2011 e non ancora terminata, è stata di oltre il 13%.
La difficoltà del Mezzogiorno, nella seconda fase, è stata decisamente maggiore della media nazionale. Questo andamento dipende sia dalla minore proiezione internazionale della sua economia, sia dalle politiche di austeritá, che l’hanno colpito più del resto del paese. Essendo il Sud un’area meno ricca ha potuto compensare meno la caduta del reddito con il patrimonio accumulato in passato. Questo spiega anche il maggiore disagio sociale. Non è una congiuntura negativa: è una crisi strutturale. Gli ultimi mesi hanno portato qualche novitá positiva, per le migliori condizioni internazionali.
I primissimi dati del 2015 sono più positivi, ma moltissime incertezze rimangono sulla tenuta di queste condizioni, e quindi sull’intensità e durata di una vera ripresa. Molte indicazioni portano però a ritenere che il passo dell’economia meridionale – che potrebbe chiudere ancora quest’anno in riduzione – sia e sarà più lento della media nazionale (anche se, a sorpresa, gli ultimi dati sull’occupazione sono positivi al Sud). Occorre cautela e prudenza nelle previsioni. Ma purtroppo non possiamo ancora dire che il peggio sia alle spalle. Alcune grandi scelte possono però rendere più probabile un esito positivo.
1) il rilancio del sistema delle imprese e degli investimenti privati. La ripresa non potrà che camminare sulle gambe della produzione, e quindi dell’aumento dell’occupazione nelle imprese. Il Sud non è certamente un deserto industriale. Tuttavia il suo sistema produttivo, già relativamente piccolo (sia rispetto a quello del CentroNord, sia rispetto alle esigenze di lavoro) è uscito provato dagli ultimi anni. Sono evidenti a tutti i segnali di crisi, dall’annunciata chiusura dell’Indesit di Carinaro alle incertezze della siderurgia tarantina. I dati disponibili – da ultimo il rapporto Confindustria Mezzogiorno-Cerved – mostrano che vi sono anche imprese con dati molto buoni. Sia a capitale locale, sia esterne, a partire dalla Fiat, specie a Melfi. Molte hanno però conosciuto cali di fatturato. Negli ultimi anni c’è stato un crollo degli investimenti, che aumenta l’incertezza per la futura competitività. E’ la spinta agli investimenti privati la chiave più importante. Il costo del denaro è bassissimo; ma, come mostrano analisi della Banca d’Italia, sono le deboli prospettive della domanda che li scoraggiano. Gli interventi di “politica industriale” sono però ai minimi storici, specie al Sud. E’ qui che si può agire: con azioni, territorialmente mirate, di stimolo all’investimento, di accompagnamento all’export anche dei piccoli, per promuovere tutta la filiera dell’innovazione, per incentivare la crescita dimensionale. Pare che il governo stia ripensando al ruolo della Cassa Depositi e Prestiti: sarebbe bene discuterne a fondo anche per capire se e quale contributo può fornire per il Sud.
2) Il rilancio degli investimenti pubblici. Le vere, grandi, vittime dell’austerità, gli investimenti pubblici possono essere una delle chiavi del rilancio, specie nel Mezzogiorno. Aumentarne molto la quantità, e migliorarne la qualità si deve e si può. Grande attenzione va prestata alle scelte di investimento con le risorse ordinarie, dei ministeri: come si notava ieri su queste colonne, per il Mezzogiorno sono spesso penalizzanti. Va completato il ciclo dei fondi strutturali 2007-13 in questi mesi; e soprattutto avviato il nuovo ciclo, che sembra purtroppo ancora al palo ad un anno e mezzo dall’avvio. Le risorse nazionali del Fondo Sviluppo e Coesione sono avvolte da una grande nebbia. Spiace e sorprende, a riguardo, che da oltre 70 giorni non ci sia più nel governo un responsabile politico degli interventi di coesione territoriale: l’auspicio è che, dopo questo forte e immotivato ritardo, sia nominato al più presto. E’ indispensabile una figura politica di raccordo e di stimolo, anche per intervenire su fenomeni molto gravi, come il forte disimpegno delle Ferrovie al Sud.
3) Un ridisegno equo ed efficiente della spesa. Intervenire sulla spesa pubblica, a tutti i livelli, può portare con il tempo a risultati importanti: risparmi, ma anche miglioramento dei servizi per i cittadini e le imprese. Come documentato dalla Banca d’Italia, negli ultimi anni i tagli hanno colpito molto di più il Mezzogiorno. Parliamo di misure per il contrasto alla povertà e al disagio sociale, di cui (molto più che degli “80 euro”) beneficerebbero le famiglie più in difficoltà, specie al Sud. Parliamo di sanità. Parliamo di istruzione. E’ questo uno dei dossier più scottanti: negli ultimi anni i finanziamenti per la scuola e soprattutto per l’università del Sud sono stati fortemente ridotti, fino a metterne a rischio la mera sopravvivenza. Parliamo delle risorse ordinarie per i Comuni. Molto si muove sul fronte tecnico, nel ridisegnare criteri e modalità delle politiche. Ma la preoccupazione è giustificata. Negli ultimi anni abbiamo assistito a scelte molto gravi mascherate da decisioni tecniche (i lettori ricorderanno la campagna di questo giornale sulla questione degli asili nido); forti sono le perplessità sugli attuali responsabili della spending review (non dimentichiamo che uno di loro si era battuto con forza per cancellare le politiche di coesione). Serve un ridisegno anche incisivo, ma che chiarisca bene cos’è il “merito” e non penalizzi a priori – come invece accade spesso – chi opera nelle aree dove le condizioni sono più difficili.
4) Una visione strategica per il Sud. Ormai è chiarissimo: lo sviluppo non “scende” automaticamente dalle aree più forti a quelle più deboli (la “locomotiva” che dovrebbe secondo alcuni trainare il Sud, non esiste), così come il benessere non si diffonde dai benestanti ai poveri. Senza una guida di politica economica – come si vede dai dati della crisi, in Italia e in Europa – le disparità aumentano e chi è dietro rischia di restare fermo. Il Sud non riparte automaticamente, anche se l’Italia migliora un po’. Serve un disegno strategico, che indirizzi le scelte e accompagni nuovi sentieri di sviluppo. Una visione di lungo termine del ruolo del Sud nell’economia europea e del contributo che può dare all’economia italiana. Su questo da troppo tempo non si discute più, e sarebbe bene tornare a farlo. Sarebbe interessante conoscere le idee del governo a riguardo.
Lascia un commento