19 maggio 2021. Durante il ‘Question Time’ al Senato, si parla del Ponte sullo stretto di Messina. Il ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini prende la parola per rispondere ai senatori che vogliono capire le intenzioni del governo rispetto a quell’opera: “Sull’attraversamento stabile dello Stretto di Messina, dopo la trasmissione al Parlamento della relazione finale del gruppo di lavoro tecnico per la valutazione di soluzioni alternative, il governo considera assolutamente fondamentale il confronto con il Parlamento e con le altre istituzioni e la società civile in modo da poter avere l’adozione di una decisione che consenta di rispondere al meglio alla domanda di mobilità da e per la Sicilia”.
La parola Ponte non c’è. Con un equilibrismo dialettico Giovannini lo ha ribattezzato “attraversamento stabile”. Ma è lo stesso Ministro – sempre tra le righe – a spiegare che grazie al Pnnr si stanno finanziando opere infrastrutturali importanti e cita “l’alta velocità Salerno-Reggio Calabria, la Palermo-Catania-Messina”.
Giovannini lascia intendere che l’esecutivo non si sarebbe imbarcato in quegli investimenti ferroviari, senza una visione di grande respiro. E quella visione non può che essere il Ponte sullo Stretto di Messina. Certo, l’opera ha un costo esorbitante. Ma oltre ai benefici economici diretti – calcolati da Webuild nel moltiplicatore 1.3 – il Ponte sullo Stretto cancellerebbe in poco tempo l’odioso balzello dell’insularità per la Sicilia, un costo stimato in oltre 6 miliardi di euro l’anno dall’assessore all’Economia, e vicepresidente della Regione siciliana, Gaetano Armao.
Già qualche mese fa, il senatore di Italia Viva, Davide Faraone, aveva spiegato il perché del mancato inserimento del Ponte nella short list dei progetti del Pnnr. Non per mancanza di volontà, ma per il semplice fatto che le risorse del Recovery fund vanno stanziate, impegnate e spese entro il 2026. Dead line impossibile per completare quel progetto, sospeso nel limbo da oltre cinquanta anni.
Il ponte è il progetto incompiuto per antonomasia. E’ costato all’ Erario già un miliardo di euro. E’ il record mondiale per un’opera non realizzata. Il dato emerge dalla procedura di liquidazione della società Stretto di Messina: è stata la Corte dei Conti a calcolato l’ammontare delle spese effettuate dalla società concessionaria dal 1981, anno della sua costituzione, al 2013, anno della decisione di liquidarla.
Con questo bilancio negativo sul groppone, il confronto politico è ripartito serrato attorno al destino di quest’opera, fondamentale per il collegamento tra Sicilia e Calabria. Adesso, il governo è “impegnato” a portarlo a termine. Alla Camera, infatti, è stato approvato un ordine del giorno che impegna l’esecutivo «ad adottare le opportune iniziative per individuare le risorse necessarie per realizzare un collegamento stabile, veloce e sostenibile dello Stretto di Messina estendendo, così, la rete dell’alta velocità fino alla Sicilia». La parola “ponte” ancora una volta non c’è, ma è evidente che il collegamento della rete ferroviaria ad altà velocità tra Sicilia e Calabria ha bisogno di una struttura reale e concreta. Tuttavia è presto per cantare vittoria. La storia del Ponte è un elastico di promesse poi non mantenute ed impegni non rispettati.
Il progetto del Ponte di Messina nasce in epoca democristiana, con la legge 1158/1971. Dovranno passare 14 anni per arrivare alla fase progettuale. Il 27 dicembre 1985, sotto il governo Craxi, viene firmata la concessione alla società pubblica Stretto di Messina Spa. L’authority avrà il compito per lo studio, la progettazione e la costruzione del ponte. Serviranno altri sette anni per vedere nero su bianco il primo progetto di massima. La prima stima immagina un costo pari a 3,3 miliardi. Ma è il 1992, la fine della Prima Repubblica ha tra le conseguenze anche lo stop al progetto del Ponte. Non se parlerà più per altri dieci anni. Il Ponte sullo Stretto tornerà a fare capolino con la legge obiettivo 2001 del governo Berlusconi II. Quel progetto ottiene il via libera del Cipe nel 2003: 4,7 miliardi la costruzione, 6 miliardi il totale. Viene espletata una gara, vinta nel 2005 dal consorzio Eurolink, di cui fan parte Salini Impregilo, la spagnolaSacyr e la giapponese Harima. Ma nel 2006, il governo Prodi revoca i fondi pubblici al Ponte (1,4 miliardi). Si continua così sull’altelena. Ci riprova il governo Berlusconi nel 2010, quando alla fine dell’anno arriva il progetto definitivo di Eurolink, approvato il luglio successivo dalla società Stretto di Messina. I costi vengono aggiornati: la cifra complessiva del progetto, con opere accessorie e oneri finanziari, arriva a 8,55 miliardi. Tutto sembra pronto per aprire i cantieri nel 2012 e si punta a concludere i lavori entro il 2018.
Con l’arrivo del governo Monti si ritorna alla casella di partenza. Anzi, il nuovo stop dell’esecutivo tecnico che deve salvare l’Italia dal default, sembra apporre la parola fine ai sogni del collegamento tra Sicilia e Calabria. Con il decreto legge 187/2012 viene dichiarata la «caducazione» ex lege della concessione alla Stretto di Messina e di tutti i contratti con le imprese. Eurolink e i progettisti di Parsons faranno causa e chiederanno un maxi risarcimento da 790 milioni di euro. Intanto, la società Stretto di Messina viene messa in liquidazione il 15 aprile 2013 dal governo Monti. Anno Domini, 2021. Il Ponte sullo Stretto è ancora nel cassetto delle incompiute. Un ordine del giorno alla Camera dei Deputati è sufficiente per sperare che un giorno quel progetto veda la luce?