Partire o Restare? Questo è il problema, avrebbe probabilmente commentato William Shakespeare, celeberrimo poeta inglese del ‘500 che dei drammi amletici e delle tragedie d’amore fece una cifra stilistica.
Una questione che, pur non toccando temi d’amore, almeno nei suoi canoni più tradizionali, può essere equiparata al dilemma, dibattuto durante il convegno di Villa Rendano, a Cosenza, “Calabria Sì, Calabria no. Perché andare, perché restare?”, organizzato dall’associazione L’Eco Giovani Idee, presieduta da Francesco Coscarella, in collaborazione con “Progetto Villa Rendano” nella persona di Walter Pellegrini e moderata dalla giornalista Raffaella Aquino. Un topic, quello sulla fuga dei cervelli dal Sud Italia, che si ripete dal 1976, come racconta il prof. Riccardo Barberi, secondo il quale ciò che affligge la Calabria non è diverso da ciò che affligge l’intera Europa, “semmai -sostiene- è solo in uno stadio più avanzato”. Se questa sia una malattia da cui è possibile curarsi, non è dato sapere. Neanche a fine convegno, quando ciò che viene fuori è una verità, forse banale, forse scontata ma più che mai accertata. La vita è fatta di destini e di treni. C’è chi osa prenderli e chi invece se li lascia volontariamente sfuggire. Qualcuno si sente più completo ad andare e a non tornare, per qualcun altro la vera felicità consiste nel restare, alla luce delle mille difficoltà, continuando a mietere passione e sfrontatezza in ogni dove. Nessun gioco delle carte, nessuna soluzione “pronto consegna”. La Calabria ha tutto, racconta qualcuno, ed io penso, tra me e me, “solo che non lo sa sfruttare”. Non manca la passione, né la voglia di cambiare le cose. Manca qualcuno che ti aiuti a modificarle, che supporti e sostenga concretamente le idee, che dia delle reali possibilità economiche a chi non ha i mezzi per realizzarle. Inutile riempirsi la bocca di tante belle parole se poi vengono fuori progetti che i giovani li dovrebbero supportare e che invece finiscono per ingannarli e costringerli ad emigrare. Andare, quello sì, dovrebbe essere una scelta. E anche questa è una frase non troppo nuova. La verità è che quando si sceglie di restare, lo si fa per mille ragioni. Perché si ama la propria terra, perché non si ha il coraggio, magari la maturità o il dovuto supporto per andare via. A volte si fugge a 18 anni, a volte lo si fa a 30.
Ci sono volti come quello di Michela Curcio, calabrese di nascita, irlandese d’adozione, che sorridono e si sentono complete a 25 anni perché del loro continuo oscillare tra Italia ed estero hanno captato l’elemento fondamentale: le differenze. Per lei la parità sessuale è solo retorica, all’estero i colleghi sono troppo competitivi, il problema principale tra Italia ed Europa sono i trasporti. Andare via non è stata una sconfitta, né un atto di codardia. E’ un modo per sentirsi più completi. Al quale si affianca il diritto all’indipendenza e alla carriera che ogni donna dovrebbe vantare.
Diritti che possono appartenere anche a chi sceglie di restare, o magari di tornare, come Annalaura Orrico. Co-founder di Talent Garden Cosenza, uno degli spazi di coworking più riusciti del territorio che alla logica della competizione oppone quella della collaborazione e che dell’innovazione e della tecnologia digitale ha fatto il suo paradigma. Lei, laureata con l’obiettivo di emigrare, il suo treno per tornare nella sua terra lo ha preso per caso qualche anno fa, quando è diventata presidente dell’Associazione “Io resto in Calabria”. Oggi è una donna imprenditrice secondo la quale si può andar via da essa anche restandovi. I muri da abbattere sono quelli che strozzano il progresso, che fanno fatica a credere nell’innovazione e che vedono in chi fugge un vigliacco, in chi ritorna uno straniero.
Partire, restare? Inutile domanda. Passano gli anni e poi la vita, inevitabilmente, ti risponde. Unica regola da cui non si dovrebbe mai demandare: continuare a “fare”.