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Non lasciamo vincere i #babyboss di #Napoli. Riprendiamoci il #diritto di camminare senza #paura per #Forcella
07 Set 2015 07:51

C’è una frase, nell’intervista al procuratore capo di Napoli, Giovanni Colangelo, che fa riflettere. Lancia un allarme, che travalica il ruolo dell’alto magistrato e chiama a raccolta responsabilità collettive.

Dice Colangelo che se, nonostante la Dda napoletana sia riuscita in tre mesi ad arrestare a Forcella un centinaio di persone, in quelle zone si continua a sparare e a uccidere, allora bisogna capire che la risposta a quella violenza non può essere affidata solo alla repressione penale. È emergenza nel cuore della città, nel ventre molle con secoli di storia dove si affollano turisti e studenti. È emergenza criminale, per l’azione di gruppi di giovani ventenni eredi della violenza dei loro padri e zii.

Riecheggiano, in quei quartieri, i nomi di famiglie che fecero la triste storia della camorra cittadina: i Giuliano a Forcella, i Misso e i Tolomelli alla Sanità. Riecheggiano geografie camorristiche di altri tempi che, con quello che accade da giugno, poco hanno a che vedere. Sono nate «paranze di bambini» – si dice con semplificazioni a effetto- che non esitano ad affrontarsi, a uccidere. Senza preoccuparsi di sparare in pieno giorno, tra gente inerme, davanti a case abitate.

Sono ventenni, con genitori e zii in carcere, senza riferimenti di boss liberi in carne e ossa. Giovani che danno fiato agli amanti del facile folklore da napoletaneria interpreti loro stessi di un folklore drammatico, con i loro tatuaggi che riproducono pistole e nomi da terrore, la loro violenta presenza sulle curve dello stadio San Paolo dove si affrontano a bastonate invece di tifare per il Napoli, i loro calcoli di dominio sullo spaccio di droga. Gang metropolitane più che camorra, più pericolosi perché senza logiche da clan, senza limiti da alleanze criminali.

L’eccesso per l’eccesso, con esagerazioni anche nella morte, l’impudenza di chi si sente al sicuro nel suo intricato territorio di vicoli e stradine. Erano quelli, secondo una felice definizione del giudice Corrado Guglielmucci, i «quartieri-Stato» della camorra e dei clan cittadini. Zone dove il capo, riconosciuto per autorità, forniva simboli, rituali, riferimenti «ideologici» agli affiliati: il tifo, la fede religiosa sconfinante nel rituale pagano, le feste, i cantanti popolari. A quei riferimenti se ne sono sostituiti altri; alle estorsioni, le scommesse del lottonero che Lovigino Giuliano si vantava di aver inventato, o l’industria del falso, le nuove «paranze» hanno sostituito l’affare facile dello spaccio al dettaglio della droga.

Ed appare chiaro come non sia più solo questione di riunioni di Comitati dell’ordine pubblico. Non riescono neanche più ad ottenere l’effetto rassicurante di un evento che riunisce rappresentanti dello Stato in grado di annunciare immediati interventi. Che poi, quasi sempre, sono controlli più intensi sui territori interessati all’emergenza. Un giovanotto che certo non è Totà Riina, come Pasquale Sibillo, è latitante da settimane e sembra farsi gioco di chi lo cerca, coperto sicuramente da persone del suo quartiere. Un meccanico ventunenne, Luigi Galletta, è diventato un’altra vittima innocente di Forcella. Undici anni dopo la tredicenne Annalisa Durante. Allora, la ragazza si trovò nel mezzo di una sparatoria. Il meccanico è stato invece ucciso perché non voleva piegarsi alle logiche della banda criminale, che chiedeva informazioni sui «nemici».

C’è flessibilità in queste gang, duttilità di appartenenze e di scelte. Una violenza illogica, che rende difficile il lavoro investigativo costretto di continuo a cercare nuove informazioni, perché le precedenti sono già superate. Non è questione di inefficienze, gli ultimi dati sulla piccola criminalità dicono che gli scippi e le rapine in città sono diminuiti con evidenti risultati ottenuti da carabinieri e polizia.

Non è questione di più repressione, ma di un territorio da risanare. Un impegno che chiama in causa tutti. Se non basta mettere in galera capi storici, significa che, dopo magistrati e forze dell’ordine, la palla passa ad altri. Diventa risanamento di territori, educazione, cultura. Ai riferimenti ideologici da violenza e prevaricazione dei clan Giuliano, Misso, o Mazzarella, vanno sostituiti altri valori, da convivenza. Ma questo non possono farlo i magistrati. Almeno non da soli. Il padre di Annalisa Durante ha aperto una biblioteca a Forcella, ma il teatro Trianon è stato tradito dall’assenza del pubblico. Dal disinteresse della città che abita altrove e ha paura.

Il cuore di Napoli soffre di terrore, proprio nella zona dove i turisti cercano la nostra storia. Non abbandoniamo quelle zone a poche decine di «bambini»-grandi, che con la paura e la prevaricazione prosperano. Riprendiamoci tutti, con l’aiuto dello Stato in ogni sua espressione, il diritto a vivere, a camminare senza paura a Forcella come alla Sanità. Non diamola vinta a chi ha preferito, per scelta, la pistola al libro.

(fonte Quotidiano Il Mattino)


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