Un uomo nato nella splendida Loreto, centro marchigiano di pellegrinaggio mariano noto a livello mondiale, essere considerato un’eccellenza del nostro amato meridione? Di primo acchito, la risposta sarebbe scontata e ovviamente negativa. Ma qualcuno, in quel di Catanzaro, potrebbe rispondere che non è propriamente così.
A quelle latitudini, nonostante siano passati trent’anni da quando ha vestito per l’ultima volta la maglia delle Aquile, un uomo di origini marchigiane, ma che è diventato molto più di un semplice catanzarese d’azione, è ancora amato e venerato, una sorta di icona di quando Catanzaro combatteva al cospetto delle grandi di Serie A.
Dopo aver conquistato la Ciociaria, Palanca vola nella ambiziosa Catanzaro
Fisico asciutto, acconciatura e baffi che, a quei tempi, andavano tanto di moda, ma che lo rendevano molto più vicino ad un comune impiegato ed operaio rispetto ad un calciatore di Serie A. Ed è forse per questo aspetto così comune, così vicino al popolo catanzarese, che non viveva certo un periodo d’oro ai quei tempi, che l’amore tra Catanzaro e Massimo Palanca (qui nella foto Roberto Talarico) fu, di fatto immediato.
Dopo aver iniziato la carriera nei semi-dilettanti del Camerino, Palanca approdò al mondo del professionismo grazie alla chiamata del Frosinone, all’epoca militante nella terza serie italiana. Massimo, a vent’anni, coglie l’occasione al volo, mettendosi in luce come uno dei più giovani promettenti della Serie C, grazie ad un piede sinistro fuori dal comune e ad una ottima prolificità sotto porta: 18 gol al debutto da professionista, poco più che maggiorenne, valgano il grande salto in Serie B.
Ad attenderlo c’è il Catanzaro, che decide di puntare sul talento e la fame di goal di questo marchigiano, che ha appena conquistato la Ciociaria. Le Aquile, a quei tempi, sono una vera e proprio big del campionato cadetto: dopo già aver assaggiato la Serie A, seppur per una stagione soltanto, i giallorossi partono ai nastri di partenza costantemente tra le favorite per la promozione.
E dopo un primo anno di assestamento, dove gioca con continuità ma vede poco la porta, Massimo Palanca, la stagione seguente, va in doppia cifra e trascina il Catanzaro in Serie A per la seconda volta, prima promozione assoluta, invece, per il calciatore marchigiano. La prima esperienza in A non entusiasmante, solo cinque reti e la retrocessione immediata in B, non scalfì l’animo dell’uomo di Loreto, ormai conquistato dalla Calabria e del calore del popolo catanzarese.
La consacrazione in giallorosso: la semifinale di Coppa Italia e le tre stagioni in A con le Aquile
Anzi, in quel momento, all’indomani della retrocessione in B, il legame tra Massimo ed il Catanzaro si fece ancor più forte ed indissolubile. E Palanca, a furor di popolo, divenne il leader tecnico e morale di quella compagine. Fiducia ripagata a suon di goal, 18, che gli valsero il titolo di capocannoniere del campionato cadetto, ed un immediato ritorno in Serie A.
E questa volta, a differenza delle altre due promozioni colte della squadra calabrese, il desiderio di arrivare in massima serie e restarci stabilmente, è più forte di altre. Ma pronosticare una salvezza dei calabresi poteva essere paragonato ad una giocata alla migliori roulette, come quelle che si possono trovare nelle recensioni aggiornate dei casino online con opinioni degli esperti.
La storia, invece, regalerà una delle favole più belle e romantiche del calcio italiano, con Massimo Palanca indiscusso protagonista dei catanzaresi. Il ragazzino cresciuto nel Camerino trascina il Catanzaro in semifinale di Coppa Italia, dove, con otto reti in sette partite, si laurea capocannoniere del torneo, e a tre salvezze consecutive, seppur la seconda ottenuta grazie al ripescaggio.
Dopo tre stagioni in massima serie da assoluto protagonista, Palanca non può rifiutare la chiamata del Napoli, la squadra di maggior prestigio del nostro meridione. L’esperienza all’ombra del Vesuvio fu deludente, al punto che Palanca, poco più che trentenne, decise di tornare ad un calcio estremamente provinciale, lo stesso che conobbe prima di spiccare il volo verso Catanzaro.
Il trauma di Napoli lo spinge verso un calcio di secondo piano, ma il richiamo di Catanzaro lo restituì a livelli a lui più consoni
Dalla Serie A, e il San Paolo, Palanca approdò al Foligno, Serie C/2. Una scelta soprattutto di vita, per avvicinarsi alla sua amata Camerino. Ma quando tutto sembrava ormai scritto, il richiamo di tornare laddove, nonostante fossero passati cinque anni dal suo addio, era considerato un eroe, era troppo alto. Dopo due stagioni salutò l’Umbria e tornò in terra calabrese.
Nell’arco di un lustro, Catanzaro, dopo aver raggiunto il proprio apice con un settimo posto in classifica in Serie A, sprofondò in Serie C. E Palanca si sentì in dovere di tornare in terra calabrese, per aiutare le Aquile a risorgere. Obiettivo, raggiunto. A 33 anni trascinò il Catanzaro al ritorno in Serie B, mettendo a segno 17 gol che gli valsero il titolo di capocannoniere.
Seguirono altre tre stagioni in Serie B, dove, ad eccezione dell’ultima, quando Palanca era ormai sul viale del tramonto, il marchigiano riuscì ad andare in doppia cifra. E a contribuire alla permanenza in Serie B del Catanzaro. Di quel “Piedino d’oro”, come veniva chiamato il sinistro fatato di Palanca, capace di segnare ben 13 reti direttamente da calcio d’angolo, elemento che lo rese ancor più leggendario, si parla ancora oggi in tutte le strade di Catanzaro. Una sorta di moderno eroe, di cui se ne tramandano le gesta di generazione in generazione.
Fonte Foto: Talarico Roberto
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