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L’ex ministro Martelli in Commissione Antimafia in Sicilia: ricordata la stagione delle stragi
13 Mag 2021 15:26

  • L’ex ministro Martelli in audizione in Commissione Antimafia all’Ars
  • Ha parlato dell’isolamento di Borsellino dopo la strage di Capaci
  • Più che di trattativa parla di “disponibilità politica”

La Sicilia e il Sud non avranno mai un futuro senza prima aver chiuso i conti con la stagione delle stragi. E quei conti si possono chiudere soltanto spalancando le porte al profumo della verità. Non si tratta soltanto di “sconfiggere la mafia”.

Da lì, ovviamente si parte: ma niente sarà compiuto se prima non verranno squarciati i veli d’omertà e connivenza che avvolgono nel mistero, almeno mezzo secolo della nostra storia. Convinzione forse banale, ma che si rafforza dopo aver ascoltato l’audizione in Commissione Antimafia all’Ars dell’ex Ministro di Grazia e Giustizia, Claudio Martelli.

L’intervento di Martelli in Commissione Antimafia

Di fronte al presidente Claudio Fava ed ai commissari regionali è andato in scena il teatro della memoria. Senza alcuna accezione negativa. Anzi, con lucidità e precisione, Martelli ha scandito i passaggi cruciali della stagione stragista di Cosa Nostra. Ha fatto intravedere la genesi, le omissioni, gli errori e le possibili responsabilità. Nulla di clamoroso, nuovo ed eccezionale. Spesso si tende a rimuovere quei dettagli necessari a comporre il puzzle di quella stagione criminale. Seguendo il percorso tracciato dalle domande mai banali del Presidente Fava, Martelli ha messo a fuoco i punti oscuri di quella notte della Repubblica.

Nel cuore di ogni siciliano perbene c’è un angolo dedicato a Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. Ascoltando Martelli, abbiamo ripercorso il dramma della solitudine dei due giudici. Un isolamento strategico, cattivo, che ha creato le premesse della loro tragedia personale.

L’isolamento di Borsellino

Uno dei momenti più toccanti dell’audizione di Martelli riguarda l’isolamento di Paolo Borsellino dopo la Strage di Capaci. Con il presidente Fava a chiedersi come sia stato possibile non informare direttamente Paolo Borsellino del rischio che correva. Perché di allarmi e segnalazioni sui progetti di Cosa Nostra contro il giudice ne erano arrivati. Martelli non nasconde le colpe dello Stato: “Sono ancora turbato oggi. Si pecca per atti e omissioni. E’ inaccettabile ciò che è stato omesso di fare, da parte di tutte le Autorità, nonostante le indicazioni formulate sia da me, sia da Scotti, in ordine alle precauzioni da adottare per proteggere Borsellino. Lui certamente era il nuovo bersaglio della mafia dopo la morte di Giovanni Falcone. Non solo per l’esito del Maxiprocesso ma anche per la sua prossima nomina alla Dia”.

Paolo Borsellino è stato abbandonato al suo destino? “E’ stato inaccettabile, ma forse anche qualcosa di peggio, non proteggere Paolo Borsellino- dice Martelli – ed è inquietante che non sia mai stata aperta un’indagine su questa mancata protezione. Incuria colpevole. Come si ci può stupire dei depistaggi, se sin dall’inizio non si è protetto, in modo più o meno inconsapevole, il giudice Borsellino. Sono stato sentito più d’una volta dalla Procura di Caltanissetta, allora guidata da Giovanni Tinebra. La cosa che mi colpì è che anche a loro prospettai la mancata protezione di Borsellino. Lo trattarono come se fosse un aspetto trascurabile. Tutto questo mi ha dato la sensazione di partecipare a un rito formale”.

Falcone al Dap

Parlando del periodo antecedente alle stragi, l’ex Ministro ha ricordato i motivi che convinsero Falcone ad assumere la guida del Dap. “Se Falcone non fosse stato bersagliato prima dai corvi, e poi da coloro che lo accusarono ingiustamente di tenere le indagini chiuse nei cassetti – tra loro ricordo il Sindaco Orlando Cascio e Alfredo Galasso- se non fosse stato questo il clima a Palermo, non ci sarebbe stato bisogno di chiamare Falcone a Roma per, come gli dissi, rendere legge la sua esperienza”.

I ricordi del 1993

E la trattativa Stato Mafia? La riflessione di Martelli offre una prospettiva diversa. Di fronte alla Commissione antimafia regionale evoca, se non una trattativa, almeno quella che l’ex ministro definisce “una disponibilità” della politica. I fatti. Martelli si dimette da Ministro di Giustizia nel febbraio del 1993. “Licio Gelli ha preannunciato le mie dimissioni qualche mese prima, raccontando anche in un’intervista per quale motivo mi mi sarei dovuto dimettere. Era la vicenda del Conto Protezione. Gelli è stato il grande falsario di quella storia. Inspiegabilmente, però, la Procura di Milano, in quel caso l’ha ritenuto un testimone attendibile”. Così, Martelli lascia via Arenula e abbandona anche il Psi. Al suo posto viene nominato Ministro di Giustizia il professor Giovanni Conso. Ecco cosa racconta Martelli di quella vicenda alla Commissione antimafia regionale: “Conso, quando gli si chiede della revoca che ha compiuto nei confronti dei mafiosi detenuti al 41 bis rispose: volevamo dare un segnale di disponibilità all’ala moderata di Cosa Nostra, al fine di evitare stragi. Non capisco perché ci siamo arrovellati con processi, quando la verità, quella politica, è spiattellata lì davanti. Non è stata una trattativa, è stato un cedimento”.

Ma il sentore di quella “disponibilità” Martelli lo aveva già percepito. Ricostruendo i 57 giorni che separano la strage di Capaci da via D’Amelio, Martelli – di fronte alla Commissione -rivendica le scelte politiche, condivise con l’allora Ministro dell’Interno, Vincenzo Scotti. “Tutti si sono dimenticati che all’indomani della strage di Capaci io e Scotti varammo il cosiddetto Decreto Falcone”. La misura più dura mai adottata dallo Stato italiano nel contrasto alla mafia, la definisce Martelli, che ricorda cosa successe: “immediatamente si riuniscono gruppi congiunti (Camera e Senato, nda) della Dc, ma anche del Pci. Tutti avanzarono dubbi di costituzionalità sul Decreto. Ci volle un’altra strage. L’idea di non esagerare contro la mafia era diffusa. Indizi politici? Credo di esser sempre stato inviso a Oscar Luigi Scalfaro. Anche Scotti. Perché? Scalfaro aveva già dato in passato qualche segno di intemperanza. Secondo me Scalfaro apparteneva a quella schiera di politici, democristiani ma non solo, che riteneva me e Scotti responsabili di aver alterato quella pax”.


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