- “Quel periodo ricorda il 1974, quando il paese venne attaccato con la strage di Brescia e quella dell’Italicus”
- “Cosa Nostra sapeva che lo Stato avrebbe reagito”
- “A Falcone venne impedito di indagare su Gladio e sul Centro Scorpione”
“Eravamo convinti che le stragi di mafia del 1992 avessero una valenza non soltanto legata a Cosa Nostra. Quello che ci aveva colpito era la rapida sequenza delle due stragi, prima Capaci e poi via d’Amelio. Una dietro l’altra. Esattamente come era accaduto nel 1974 con le stragi di Brescia e dell’Italicus. Certo, dalla storia abbiamo appreso che Riina s’era convinto di fare la guerra con lo Stato per poi fare la pace. Ma Cosa Nostra sapeva per certo che due attacchi simili avrebbero scatenato la repressione da parte dello Stato”.
E’ la tesi di Massimo Brutti, ex senatore del Pd e già vicepresidente del Copasir, il comitato parlamentare di controllo per la Sicurezza dello Stato. L’organo di controllo dell’intelligence. Brutti ha rilasciato questa testimonianza, nel corso di un’audizione indetta dalla Commissione Antimafia dell’Ars, presieduta da Claudio Fava. Massimo Brutti, all’inizio degli anni novanta era membro laico del Csm, per poi diventare, nel corso della sua carriera politica, sia vicepresidente del Copasir, sia sottosegretario di Stato all’Interno e alla Difesa. Un esperto di materie sensibili che toccano i nervi scoperti della stagione stragista.
Contaminazioni tra apparati deviati e criminalità
Dal cassetto della memoria, Brutti ha ricordato episodi di possibile contaminazione tra apparati deviati dello Stato e sistemi criminali: dalla Falange Armata a Gladio, passando per la Loggia P2 e per lo scandalo dei fondi neri al Sisde.
“Anche il Copasir non riusciva a ottenere tutte le informazioni necessarie, era come se all’intelligence fosse stata conferita una sorta di delega in bianco per intervenire sui temi più spinosi della sicurezza dello Stato. Le risposte istituzionali che il Copasir riceveva erano molto riduttive. Indagini si sono fermate. Anche sulla sigla della Falange armata. Non si farà mai chiarezza”.
Brutti sostiene di essere rimasto colpito dalla coincidenza tra “i messaggi della Falange armata e quello che Gelli andava raccontando in quel periodo (siamo nei primi anni novanta). La Falange Armata si definiva una sorte di elitè e lo stesso diceva Gelli del suo gruppo. Sembra fantasia, ma sono successe delle cose gravi e concrete”.
Le minacce a Scalfaro
Brutti offre un esempio che tira in ballo delle precise minacce all’allora Capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro. Era, Il 16 settembre 1993, Scalfaro è in Finlandia. “Di solito, il presidente si faceva accompagnare dalla figlia in quelle occasioni- racconta l’ex senatore, ma in Finlandia era solo. Le autorità politiche finlandesi erano a conoscenza delle sue abitudini e al momento del commiato, consegnano al Capo dello Stato un regalo per la figlia. Dopo cinque giorni. Scalfaro ringrazia, perché l’omaggio era stato indirizzato a “quanto di più caro e sacro aveva nel suo cuore”, ovvero sua figlia. Di quella frase del Presidente nessuno farà cenno. Non verrà ripresa da giornali o telegiornali. Non la conosce nessuno, tranne un ristretto numero di persone che ruotano attorno al Quirinale. Eppure, cinque giorni dopo arriva una telefonata minatoria della Falange armata. La minaccia è per Scalfaro: la voce anonima afferma che potrebbero colpire “quanto di più caro e sacro” ha il presidente della Repubblica. Esattamente la stessa espressione che aveva utilizzato Scalfaro durante l’incontro in Finlandia. Sono i giorni in cui scoppia lo scandalo Fondi neri del Sisde. Anche Scalfaro verrà accusato di aver attinto a quelle risorse. Tutti ricordiamo che il Capo dello Stato, fece un discorso sulla tv nazionale. Rimasi stupito del fatto che facendo riferimento a quell’episodio, Scalfaro di fatto collegherà il periodo delle stragi con le vicende interne del Sisde”.
Parlando del rapporto di Falcone e del procuratore di Palermo Giammanco, Brutti – che all’epoca era componente laico del Csm – sostiene di essersi opposto alla nomina di quel giudice. “Falcone avrebbe voluto indagare su Gladio – racconta Brutti – ma Giammanco non glielo consentì. La magistratura romana stava indagando su Gladio e Falcone voleva capirne di più. Il centro Scorpione era una sorte di base decentrata di Gladio. Ora sappiamo, che nel 1988, il centro Scorpione era stato incaricato dal Sismi di svolgere una attività di contrasto al traffico di droga e alla criminalità organizzata. Era stata messa a disposizione dell’Alto commissariato alla Mafia. In quel periodo Falcone sarebbe dovuto andare all’Alto Commissariato ma gli venne preferito Domenico Sica”.
Dove sono finiti i resoconti di quella collaborazione tra Gladio e l’Alto Commissariato alla Mafia? Brutti non lo sa con certezza, ma ha una tesi: “L’Alto commissariato venne scelte con la creazione della Dia. Se le cose sono state fatte nella maniera corretta, è giusto pensare che quella documentazione sia stata consegnata alla Dia”.
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