Gli ultimi scandali da Mafia Capitale a Roma, all’Expo di Milano hanno prodotto una reazione del Governo e del Ministro della Giustizia in chiave anti-corruzione.
Da quello che si è potuto leggere, le misure si riducono essenzialmente a: un innalzamento delle pene per la corruzione da sei anni a dieci anni di reclusione. Una “confisca allargata” dei beni efficace anche nei successivi gradi d’appello, anche quando è intervenuta causa estintiva del reato oggetto di accertamento, anche nei confronti di terzi estranei al reato ed anche in caso di morte del reo.
Alla restituzione del maltolto, l’imputato per chiedere il patteggiamento o l’emissione di condanna a pena predeterminata dovrà restituire l’intero ammontare del prezzo o del profitto oggetto di reato. Provvedimenti, chiaramente, ancora non in vigore ma approvati dal Consiglio dei Ministri ed inseriti nel disegno di legge di riforma della giustizia.
Dall’esame del testo normativo emerge chiaramente che non vi è, ancora una volta, un intervento diretto sulla prescrizione, i tempi di questa si auspicano saranno allungati per effetto dell’innalzamento delle pene.
Il nodo cruciale e determinante nella lotta seria alla corruzione resta sempre quello, della prescrizione e a quanto pare viene glissato nuovamente.
L’effetto combinato di pene “virtuali” e processi lunghi, avrà come logica conseguenza un numero basso di corrotti puniti e processi costosi e totalmente inutili.
Partendo da questo presupposto, a me sembra che questo tipo di approccio evidenzi ancora una volta un entrata in punta di piedi del Governo in tema di lotta alla corruzione. Non focalizzo nel disegno di legge un sistema premiale moderno ed efficace per coloro che decidono di denunciare il fenomeno corruttivo.
Va, inoltre, sottolineato come molte delle proposte messe in campo dal governo Renzi non siano del tutto inedite. Ancora una volta si usa il diritto penale sull’onda di fatti eccezionali pensando che la pena sia la panacea di tutti i mali. Purtroppo così non è. Occorrerà riscrivere totalmente il delitto di falso in bilancio portandolo ad una configurazione simile a quella degli altri paesi europei.
E’ indispensabile introdurre una norma inequivocabile per la incandidabilità dei condannati.
Il disegno di legge prevede che il condannato ad una pena inferiore a tre anni potrà ripresentarsi agli elettori, a meno che il reato contestato non sia di mafia o contro la pubblica amministrazione.
Questo è un punto che va rivisto. Chi è condannato non può rivestire cariche politiche a prescindere dall’entità della pena. Del resto non dimentichiamoci che chi ha una condanna penale non può partecipare neanche ad un pubblico concorso. Altra mancanza macroscopica è la puntualizzazione del delitto di autoriciclaggio, cioè la ripulitura in proprio (non con ausilio di altri come nel riciclaggio) dei profitti illeciti.
Oggi, infatti, sono punibili solo i riciclatori di denari altrui. I nuovi reati di corruzione tra privati e il traffico d’influenze, in base alla pena, si prescrivono in sei anni cioè nel tempo medio di durata del processo. Manca anche un efficace sistema di pene accessorie e di misure interdittive. Si potrebbe introdurre un nuovo delitto concernente le false fatturazioni. Si potrebbero estendere le misure di prevenzione antimafia a vari delitti contro la pubblica amministrazione.
Insomma in una seria ed efficace lotta alla corruzione occorre considerare la stessa al pari della criminalità organizzata se non addirittura peggio.
Le nuove norme anti-corruzione, sono un piccolo passo avanti ma si può fare molto, molto di più.
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