Costanza è venuta l’altra sera in chiesa. Malandata, pochi denti in bocca, vestita di nero dopo la morte del marito. Triste, lo sguardo basso, il disagio stampato in volto. Non aveva nemmeno il coraggio di parlare. Stringeva tra le mani diverse bollette, già scadute, da pagare. Ho capito. Il debito accumulato era alto e ho potuto offrirle solo metà della somma. Con immensa dignità ha farfugliato: «Grazie, padre, ma è inutile… Mi aiuti, la prego. Le prometto che appena avrò la possibilità glieli ritornerò. Non mi faccia andare da ‘quelli’ …». ‘Quelli’ sono gli usurai del quartiere.
Persone come noi, ma simili a orribili uccelli rapaci pronti a gettarsi sulla preda.
‘Quelli’ non hanno pietà di niente e di nessuno. Strozzini con il cappio sempre in mano per imbrigliare l’ingenuo che bussa alla loro porta.
Usura spicciola che alimenta la camorra. Camorra che si serve dell’usura per imprigionare i poveri e tenere in pugno il territorio. E noi lo sappiamo. Tutti lo sanno. Sindaci e amministratori locali. Forze dell’ ordine e governo regionale. Tutti lo sanno, anche se tanti fanno finta di non sapere. Fa meno male, lo so. La tentazione di voltare lo sguardo da un’ altra parte è forte. I poveri ci richiamano alle nostre responsabilità.
Ci tolgono il gusto di sedere a tavola. Ci rovinano la giornata. Meglio non vederle, certe cose. Questo ingenuo stratagemma dello sguardo negato, però, non basta a tenere in pace la coscienza.
Nella famiglia di Costanza questa sera non si mangia. In ‘quella’ famiglia ci sono i bambini. I bambini. Almeno per loro. Come si può dormire questa notte sapendo che ‘quei’ bambini sono andati a letto senza mangiare? E questa mattina come faranno ad andare a scuola? È facile puntare il dito. Giudicare. Condannare. Dire che sono svogliati, che non hanno fatto i compiti. E magari anche che sono violenti e maleducati. Forse è tutto vero…
Lorenzo. Ha lasciato il carcere da pochi mesi. Ha tre figli non ancora adolescenti. Ancora giovane, magro, la barba incolta, la rabbia stampata in viso. Viene spesso a chiedere un aiuto. L’altro giorno è ritornato: «Padre, sono tanto stanco. Aiutami, in carcere non ci voglio andare più. Sto cercando un lavoro come un forsennato, ma non trovo niente. Niente. Che debbo fare, padre?». Già, che deve fare, Lorenzo?
«Padre, i bambini hanno bisogno di tante cose. Piangono. Non ce la faccio a sopportare quella scena. Se continua così, lo so, prima o poi… tornerò a sbagliare…». Sbagliare per sfamare i figli. Ritornare a rubare per non vederli morire. Continuare a rovinarsi la vita per amore.
E questi sarebbero i delinquenti da mettere in galera? Dove cercare una risposta soddisfacente? Dove trovare parole che prima di essere dette agli altri, convincono te stesso? Che cosa è meglio fare?
Delinquere, sia detto a chiare lettere, no. Mai! Ma lavoro non ce n’ è. E quel poco che si trova è illegale, pericoloso e malpagato. Che fare, dunque? I servizi sociali latinano. O, meglio, è come se non ci fossero. Da ‘quelle’ parti, in ‘quelle’ periferie, non arriva mai un aiuto. Al contrario, le mamme temono che per la povertà in cui versano potrebbero sottrarre loro i figli. La generosità dei buoni riesce a tamponare, ma non può bastare.
Che fare? Il mio popolo, il nostro popolo soffre. Il lavoro è fondamentale per non mandare a rotoli una società.
Papa Francesco lo ha detto cento volte, e ce lo ha ridetto a Napoli: «Senza il lavoro l’ uomo perde la sua dignità». La povertà è dignitosa. Forgia il carattere e tempra la volontà. Educa alla parsimonia e fa gustare il poco che si ha. La miseria, no. La miseria fa ribollire il cuore di rabbia. Spegne la speranza e spinge a gesti inconsulti. La miseria getta nello sconforto e ruba la dignità. È solo grazie alle famiglie che si stringono attorno a chi ha bisogno se tanta nostra gente ancora resiste. Che consolazione ascoltare papa Francesco, mercoledì scorso: «Dovremmo inginocchiarci davanti a queste famiglie che sono una vera scuola di umanità che salva la società dalle barbarie». È vero.
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